EnglishFrenchGermanItalianPortugueseRussianSpanish


02/04/13

Fatti di speranza


Il nostro è uno di quei rari casi in cui, contravvenendo a ogni regola giornalistica, l’articolo non comincia dalla «notizia», ma dalla fine. Per la precisione, dalla fine di una bella serata, trascorsa in allegria e semplicità a casa Pandolfi. Ma facciamo un passo indietro. È l’11 marzo 2013 e siamo a Nocera Inferiore, grosso comune dell’hinterland salernitano, con tutte le bellezze e le contraddizioni tipiche di questa terra. Sono le 21 e 30 quando veniamo accolti dai Pandolfi: mamma Delfina, papà Gaetano e tre dei loro quattro figli (la maggiore, sposata, vive ormai fuori casa). Ad attenderci, insieme con loro, la piccola Silvia, di appena undici giorni, e Angela, 9 anni, (questi ultimi sono nomi di fantasia).

Delfina e Gaetano fanno parte dell’associazione Progetto Famiglia, una rete di famiglie aperte all’accoglienza di bambini e ragazzi in difficoltà, braccio operativo del movimento Fraternità di Emmaus fondato da don Silvio Longobardi, uno dei tanti sacerdoti di periferia che, con generosità e senza tanti clamori, spende davvero la sua vita al servizio degli «ultimi» (oltre a essere, nel poco tempo libero che gli rimane, direttore editoriale di «Insieme», il settimanale della diocesi di Nocera Inferiore- Sarno). Delfina e Gaetano sono sposati da trent’anni. Quattordici anni fa il grande passo: hanno fatto le valigie e si sono trasferiti a vivere nella casa famiglia presso la quale già prestavano servizio come volontari. Da allora le porte della loro dimora e, soprattutto, dei loro cuori, sono rimaste aperte a decine di minori accolti in affido nell’attesa di rientrare nelle loro famiglie d’origine o di venire adottati. I piccoli rimangono con loro in media un anno. L’unica eccezione è Angela che, nata con una grave malformazione, vive in casa Pandolfi ormai da nove anni: «È la nostra gioia – confida Delfina –. Anche se a volte la fatica è tanta, perché dobbiamo alimentarla, cambiarla, svegliarci di notte per assisterla (Angela non parla e non si muove, ndr), non riusciremmo a immaginare la nostra vita senza di lei». La vita della famiglia ruota tutta attorno alla mensa, anzi, alle mense: quella familiare, quotidiana, il cui cuore è un’ampia cucina con un gigantesco tavolo attorno al quale trova posto chiunque si trovi a passare di qui, e quella, più defilata, custodita in una stanza trasformata in cappella domestica e che ospita l’eucaristia, alimento fondamentale per la vita della famiglia. «È Gesù il vero padrone di casa, qui – dice ancora Delfina con un entusiasmo contagioso, mentre Gaetano, molto più schivo e riservato, annuisce in silenzio –. Se non ci appoggiassimo a Lui non riusciremmo a fare nulla». Ma, come dicevamo nelle prime righe, questa è solo la fine di una intensa serata trascorsa nel comune dell’Agro nocerino sarnese, che ha avuto il suo momento clou nell’attribuzione del Premio Euanghelion alla giornalista e scrittrice Maria Pia Bonanate e al direttore del «Messaggero di sant’Antonio », padre Ugo Sartorio. Il premio, istituito nel 2006 dalla rivista della diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, in collaborazione con il Servizio diocesano per il progetto culturale e l’Ufficio Comunicazioni Sociali, ha lo scopo di «dare ogni anno un pubblico riconoscimento a una persona o a un’istituzione che si è particolarmente distinta nel mondo dei mass-media». Euanghelion (che letteralmente significa buona notizia), in genere viene tradotto con Vangelo.

«È un bene sottolineare il legame tra Vangelo e notizia, vale a dire tra una Parola eterna, che da duemila anni risuona in ogni parte del mondo, e una parola fragile ed effimera che ogni giorno appare sulla carta stampata. Fare anche della comunicazione mediatica una buona notizia è per noi un desiderio, anzi un impegno», spiegano gli organizzatori. Nel corso della cerimonia di premiazione si è tenuta una tavola rotonda, coordinata dal giornalista Salvatore D’Angelo, sul tema «Fatti per sperare» (motivo conduttore di questa sesta edizione), cui hanno partecipato, oltre ai due vincitori, don Silvio Longobardi e monsignor Giuseppe Giudice, vescovo della diocesi di Nocera Inferiore-Sarno. A stimolare la discussione le domande di cinquanta studenti delle scuole superiori dell’Agro (l’Istituto professionale per i servizi sociali «Gaetano Milone» di Sarno, il Liceo classico «Gian Battista Vico » e il Liceo scientifico «Nicola Sensale» di Nocera Inferiore e l’Istituto superiore paritario «Mons. Vincenzo Pastore » di Angri). «Quando ho accettato l’incarico a “Il Nostro Tempo” – ha affermato Maria Pia Bonanate, condirettrice del periodico cattolico di Torino – ho promesso a me stessa che avrei svolto la mia professione facendomi guidare da alcuni fari, princìpi imprescindibili che si possono sintetizzare in tre “sì” e tre “no”: “sì” al cercare di vivere come donna le situazioni di cui avrei scritto; “sì” a un giornalismo che portasse buone notizie, dando voce a quella speranza che si cela nelle situazioni di fragilità; “sì” all’annuncio che una risurrezione è sempre possibile, anche nelle condizioni più difficili. “No”, invece, agli scoop che spesso hanno un prezzo molto pesante; “no” al mancato rispetto della dignità umana; “no” alla banalità dello scrivere, cercando di perseguire sempre un giornalismo professionale, serio, vero e di qualità». «Oggi – gli ha fatto eco padre Ugo Sartorio – sembra che la speranza sia la prima a morire e invece noi siamo fatti, nel senso di “impastati”, di speranza. È per questo che il “Messaggero” racconta “fatti” capaci di generare speranza nei lettori, e lo fa con uno stile ben preciso: abbassando i toni per non depotenziare gli eventi importanti che di volta in volta vuole comunicare; cercando di sottolineare il bene, spesso silenzioso, presente in ogni situazione; sforzandosi di essere semplice, senza essere semplicistico; mettendo insieme voci differenti e differenti sensibilità; cercando di argomentare, per spiegare la bellezza dell’essere cristiani».

Il Premio Euanghelion, ha sottolineato monsignor Giudice, nasce dal desiderio di «recuperare il valore delle nostre parole, non solo della parola di Dio», attribuendo loro il giusto peso. Perché le «parole possono contribuire a diffondere speranza, mutando, come dice il Salmo, il nostro lamento in danza». Ai due premiati è stato consegnato un angelo argenteo realizzato in argilla dall’artista, di Caltagirone (Catania), Antonella Ferrisi.

di Caterina Pecci

(MESSAGGERO DI SANT'ANTONIO)

ARTICOLO PDF

Extra: MESSAGGERO DI SANT'ANTONIO