2. AFFIDAMENTI LUNGHI, AFFIDAMENTI SINE DIE

Affidamenti di lunga durata e affidamenti sine die; distinzione tra affido e adozione, adozione in casi particolari e adozione mite; l’asincronia tra i tempi-procedura della giustizia e i tempi-vissuto dei bambini; aspetti psico-sociali e giuridici della prognosi di non transitorietà delle situazioni di abbandono morale e materiale.

ESPERTI COINVOLTI: Piero Avallone, Tribunale per i minorenni di Napoli; Gilda Biffa, Tribunale per i minorenni di Roma; Cristina Riccardi, Associazione Ai.Bi. – Amici dei Bambini; Alda Vanoni, Associazione Famiglie per l’Accoglienza; Donata Nova Micucci, ANFAA - Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie; Mariano Iavarone, Associazione Progetto Famiglia Napoli; ...

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2. AFFIDAMENTI LUNGHI, AFFIDAMENTI SINE DIE

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 09/03/2013, 6:16

In base agli ultimi dati pubblicati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (1) la durata degli affidamenti familiari supera i due anni nel 48% dei casi (e di questi, più della metà, dura oltre i 4 anni).
Sulla questione il Tavolo Nazionale Affido è intervenuto più volte. Nel 2010 chiedendo che fossero definite le «condizioni per il contenimento della durata degli affidi e per un corretto e consapevole ricorso agli affidamenti di lungo periodo» (2). Nel 2012, ribadendo: «a) che l’obiettivo prioritario dell’affido è garantire il benessere del minore dandogli la possibilità di crescere in una famiglia; b) che l’esito dell’affido dovrebbe essere il rientro del bambino nella sua famiglia di origine; c) che, tuttavia, un affidamento non può essere giudicato riuscito o meno solo in base alla sua durata e all’effettivo rientro del bambino nella sua famiglia di origine». Il Tavolo Nazionale Affido ha inoltre sottolineato che: «l’attuale normativa non pregiudica la possibilità di affidi a lungo termine: sono molti i casi in cui i genitori al di là dei sostegni non sono in grado di provvedere da soli alla crescita del minore, pur non ricorrendo gli estremi per la dichiarazione di adottabilità. È tuttavia da stigmatizzare il fatto che in molti casi l’affidamento si prolunga per (…) la mancata messa a disposizione delle famiglie in difficoltà di aiuti non solo economici e assistenziali, ma anche di quelli che afferiscono alla casa, al lavoro, all’affiancamento amicale. In tal senso il realizzarsi di affidamenti di lunga durata, anche se adeguati e necessari in taluni specifici casi, non può essere considerato la normalità e deve essere sempre sostenuto da specifici progetti monitorati con regolarità» (3).
Il Tavolo si inserisce dunque nell’ampio solco scientifico e dottrinale che rifiutando il concetto di temporaneità assoluta dell’affido prende in considerazione le cd. situazioni di “semi-abbandono permanente”. Di questa prospettiva si parla da decenni. Risale al 1983 il significativo intervento di Paolo Vercellone, allora presidente del Tribunale per i Minorenni di Torino: «Dovunque, lo strumento dell’affido familiare è stato ritenuto prezioso in queste situazioni in cui bambini e adolescenti possono crescere bene nella famiglia affidataria, mantenendo contatti significativi con i propri genitori naturali, sprovveduti sì, ma non inesistenti» (4). Di medesimo segno anche quanto nel 2002 affermava Francesca Ichino Pellizzi parlando di: «genitori incapaci di organizzarsi e di organizzare una famiglia, ma non a tal punto da giustificare il provvedimento estremo dell’adozione» (5). Sintoniche anche le dichiarazioni del CNCA che ha inteso l’affido a lungo termine come una «forma di affido con identità specifica. Non un affido “sbagliato”, mal riuscito» (6). Il documento del Tavolo sembra invece escludere i cd. “sine die”, cioè quegli affidamenti senza scadenza, che gli articoli 330 e 333 del Codice Civile permettono, e che hanno invece trovato positiva accettazione (seppur entro certi limiti e condizioni) in un documento pubblicato dal CNSA – Coordinamento Nazionale dei Servizi Affidi nel 2002 il quale li ha dichiarati “utili” (in particolar modo per gli adolescenti), “realistici” (a fronte di situazioni in cui la famiglia non sarà mai in grado di assumere in toto le responsabilità genitoriali) e “inevitabili” (a fronte dei vari casi di impossibilità a procedere con l’adozione) (7) . Di segno completamente opposto invece il Manifesto sull’affido diffuso dall’Ai.Bi. a fine 2012, nel quale si propone di «limitare per legge la durata degli affidi a massimo 2 anni, rinnovabili una sola volta e solo per gravi motivi (totale massimo 4 anni)» (8).

(1) Indagine “Bambine e bambini allontanati dalla famiglia d’origine. Affidamenti familiari e collocamenti in comunità” (dati al 31.12.2010) presentata dal Ministero delle Lavoro e delle Politiche Sociali il 22 marzo 2012.
(2) Punto 9 del documento “Dieci punti per rilanciare l’affidamento familiare in Italia”.
(3) Tavolo Nazionale Affido “La tutela della continuità degli affetti dei minori in affido”, del 28 giugno 2012, disponibile alla pagina “documenti” del sito http://www.tavolonazionaleaffido.it
(4) Vercellone P., Disciplina dell’adozione e dell’affidamento familiare. Prime osservazioni, in «Giurisprudenza italiana», 1983, parte IV.
(5) Francesca Ichino Pellizzi, Alcune riflessioni in merito alla legge 149/01 sull’affidamento familiare, Quaderno 24 del Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza, 2002.
(6) CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza. Intervento di Liviana Marelli “Affidamenti familiari a lungo termine: a quali condizioni” al Convegno nazionale Adozione e affidamento familiare a lungo termine. riflessioni e proposte “dalla parte dei minori”, organizzato dall’ANFAA, Torino, 2009.
(7) CNSA – Coordinamento Nazionale Servizi Affidi, Affido Sine Die, 2002.
(8) Ai.Bi. – Amici dei bambini, Manifesto per una nuova legge sull’Accoglienza Familiare Temporanea, 2012.


SPUNTI PER IL CONFRONTO
Gli affidamenti familiari di lunga durata si fondano sulla convinzione che in taluni casi vi sono minori che non possono vivere con la famiglia biologica ma che non possono neanche perderla del tutto. La presenza prolungata e definitiva nella famiglia affidataria pone il tema della “doppia appartenenza”. Quali le ripercussioni sull’identità filiale del minore? E quali sul suo percorso di crescita? Quali i supporti da offrire al minore, agli affidatari e alla famiglia di origine?
Il tema degli affidamenti di lunga durata evidenzia inoltre la necessità di individuare i parametri per la definizione dello stato di semi-abbandono permanente. Analoga esigenza di “oggettività” è presente nel più ampio tema della prognosi di recuperabilità / irrecuperabilità delle competenze genitoriali (e quindi di transitorietà / non transitorietà delle situazioni di abbandono morale e materiale). Quali le considerazioni psico-sociali? E quali le questioni legislative e giurisprudenziali?
Affidamenti di lunga durata e affidamenti sine die. Quali le effettive differenze? Quali i rischi e quali i vantaggi?
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Re: 2. AFFIDAMENTI LUNGHI, AFFIDAMENTI SINE DIE

Messaggioda ALDA VANONI » 23/03/2013, 23:47

Ho qualche difficoltà anche a trattare dei c.d. affidi sine die.
Da un punto di vista lessicale, sine die sembra indicare un’assenza di termine finale: ma, quanto meno per il raggiungimento della maggiore età, tutti gli affidamenti sono destinati a finire, nessuno crea un legame giuridico che perduri per tutta la vita dell’affidato.
Forse si vuole intendere “affidamenti che non partono con una previsione di durata prefissata”: Carletto è affidato ai coniugi Rossi senza che si precisi per quanto tempo. Questo è in contrasto con la necessaria specificazione del provvedimento, cfr. art. 4 comma 3 e 4 della legge 149/2001, ma non mi pare che da una imprecisione del giudice o dei servizi possa farsi discendere una diversa “categoria” di affidi.
Perché la previsione del termine di durata dell’affido è una previsione di massima, che lo stesso legislatore è costretto a riconoscere prorogabile “quando la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore”.
Di fatto, molto spesso (nella metà dei casi censiti dall’Istituto degli Innocenti, mi pare) si evidenzia la necessità di mantenere l’affidamento anche oltre il termine dei 2 anni. Non è sempre facile - anzi, per lo più non lo è per niente, e l’eccezione è il contrario - prevedere in quanto tempo una situazione di inadeguatezza assistenziale o educativa dei genitori d’origine verrà risolta; le variabili sono infinite, la realtà sociale, delle persone, sfugge agli schemi prefissati (e forse è bene così).
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Messaggioda Giovanna Iavarone » 12/04/2013, 13:13

Da quasi otto anni in famiglia abbiamo esperienza di affidamento lungo, prorogato, su nostra disponibilita', per altri tre anni cioe' fino ai 18 anni del minore. Questo e' effettivamente il caso di un minore che non puo' vivere con la famiglia biologica, ma che non puo' neanche perderla del tutto. In realta', spesso non si ha in affido solo il minore, ma anche la sua famiglia, per questo diventa difficile " lasciare" se non si e' certi che sia stato pianificato un progetto alternativo adeguato.
Sicuramente, almeno nel nostro caso,si e' notata l'attivazione di una minima parte delle competenze genitorali, ma si e' anche constatato che restano attive solo se la famiglia d'origine si sente supportata, seguita, ascoltata, giorno per giorno ma soprattutto quando ne ha bisogno, in qualsiasi momento della giornata.
Io e mio marito abbiamo pensato molto e abbiamo discusso molto anche con i nostri tre figli maggiori. Alla fine e' rimasto l'obiettivo prioritario dell'affido: garantire il benessere del minore dandogli la possibilita' di crescere comunque, anche nella sua famiglia d'origine.
Questo obiettivo lo viviamo : raggiunto.
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Re: 2. AFFIDAMENTI LUNGHI, AFFIDAMENTI SINE DIE

Messaggioda LORUENA PIGNATIELLO » 15/04/2013, 16:24

concordo in pieno....questi minori purtroppo vivono una doppia appartenenza , la difficoltà delle famiglie affidatarie che decidono di affrontare questa tipologia di accoglienza è proprio questa, non è possibile cancellare la loro storia e ancor di più sminuire le figure genitoriali d'origine, pur disfunzionali o patologiche che siano : sicuramente in questi casi i minori devono essere seguiti dal punto di vista psicologico nel periodo della crescita, in un percorso di consapevolezza del proprio vissuto, e in contemporanea anche la famiglia affidataria deve essere "assolutamente" sostenuta.
Nella fase adolescenziale questi ragazzi mettono a dura prova la famiglia affidataria, sul piano affettivo,della fiducia, "Chi sono, con chi mi identifico? quelli che mi hanno messo al mondo, o le persone che mi stanno aiutando a crescere?"
C'è molto lavoro da fare ma se siamo più professionisti ad occuparcene,ognuno con le sue competenze non è impossibile!
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Re: 2. AFFIDAMENTI LUNGHI, AFFIDAMENTI SINE DIE

Messaggioda paola forzoni » 24/04/2013, 15:56

Condividiamo che esistano affidi a tempo non definito perché inevitabili per non interrompere i rapporti con famiglie che persistono in un grado di parziale adeguatezza.
Riteniamo INDISPENSABILE che i soggetti dell'affidamento siano opportunamente sostenuti da tutte le figure professionali necessarie. Questo non è sempre garantito con grave nocumento dei minori, ma anche degli adulti tutti.
E' importante anche tenere bene presente quali sono i pensieri e i sentimenti che il minore sviluppa durante i lunghi affidi ovvero ascoltarlo a fondo ,compreso i Tribunali, circa le sue scelte di identità.
Tutto questo al fine di evitare adozioni ove esiste ancora una capacità minima della famiglia naturale ma al contempo permettere a questi FIGLI AFFIDATI lo strutturarsi di una identità definita al meglio per loro. In fondo sono loro al CENTRO del DIRITTO MINORILE e non le famiglie naturali o affidatarie.
Per quanto riguarda gli affidatari sarebbe bello che i figlia affidati fossero equiparati a quelli naturali ( diritti e doveri nei confronti dei genitori -vedi codice civile.)
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Messaggioda LUIGI PICCOLI » 04/05/2013, 6:24

Condivido tutti i commenti finora portati, aggiungo alcune considerazioni. Se pensiamo alla letteratura psicologica sulla ricerca dei legami, ci consola sapere che per lo meno con gli affidi sine die è concessa al minore (ma immaginiamolo come persona che diventa adulta) la possibilità di conoscere le proprie origini, di capire i momenti bui che hanno determinato la crisi e la spaccatura di un piano familiare, la comprensione delle fragilità degli adulti… se si è saputo sostenere il suo dolore, la sua paura, se si sono date delle chiavi di lettura sui perché della sua triste storia, forse riusciamo a far crescere un adulto che può fare “pace” con il suo passato, con meno rancori e buchi neri. E’ proprio importante come famiglia affidataria e come servizi essere preparati per poter fare un buon lavoro di accoglienza del dolore e accettazione della realtà. Abbiamo avuto la fortuna, chiamiamola così, di vedere dopo più di venti anni l’evoluzione di alcuni affidi a lungo termine o sine die: giovani adulti che riescono a guardare alle difficoltà della propria famiglia d’origine senza cadere nel vittimismo, che colgono comunque nella loro storia la buona opportunità di aver avuto una famiglia “di scorta”, ma soprattutto oggi la libertà di potersi giocare nel futuro, con il pieno coinvolgimento dei propri affetti e dei propri desideri, anche in termini di relazioni familiare. Persone che hanno voluto e saputo costruire la propria “sana” famiglia.
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Re: 2. AFFIDAMENTI LUNGHI, AFFIDAMENTI SINE DIE

Messaggioda DONATA MICUCCI » 13/05/2013, 9:09

Considerazioni in merito agli affidi a lungo termine

Vorrei dare un contributo in merito agli affidi a lungo termine e alle diverse possibili conclusioni di un affido, partendo da una precisazione, forse ovvia: a nostro avviso, la validità di un affidamento non può essere valutata in base alla sua durata e al rientro o meno del bambino nella sua famiglia d'origine: un buon affidamento è tale se risponde alle reali esigenze del bambino e della sua famiglia. Condizione indispensabile per una buona riuscita di un affidamento- indipendentemente dalla sua durata - è il costante sostegno e aiuto che i servizi devono offrire al bambino, alla sua famiglia di origine e alla famiglia affidataria e la presenza di un progetto conosciuto e condiviso tra tutti i vari soggetti (ivi compresa, nella misura del possibile, la famiglia di origine), costantemente monitorato e ricalibrato in funzione dell’evolversi della situazione. Un buon affidamento è tale quando le due famiglie, anche con il determinante sostegno degli operatori, riescono a creare e mantenere un buon rapporto tra di loro, e il bambino viene aiutato a mantenere e rafforzare il legame con la sua famiglia. Ribadiamo con forza la necessità di una maggiore tempestività nella decisione di avviare un affidamento per evitare di dover intervenire quando la situazione si è troppo deteriorata, così da provocare gravi e difficilmente riparabili conseguenze sul sereno sviluppo del bambino.
Anche noi siamo preoccupati per il numero elevato di affidamenti a lungo termine, segno a nostro avviso di una mancanza in molti casi di interventi di prevenzione del disagio, di una progettazione accurata dell’intervento e di una insufficiente messa a disposizione, da parte delle istituzioni, delle risorse, non solo assistenziali, necessarie affinché la famiglia sia messa in grado di superare le difficoltà che hanno determinato l’allontanamento del minore, creando così le condizioni per un positivo rientro del minore nella sua famiglia. Rientro che deve certamente essere favorito e non osteggiato da noi famiglie affidatarie. Tuttavia, ciò che maggiormente preoccupa noi affidatari, così come le nostre esperienze ci dimostrano, non è tanto il distacco, seppur emotivamente molto coinvolgente, dal bambino, quanto il dover constatare che troppe volte il suo rientro viene deciso dai servizi e dalla magistratura, senza una valutazione approfondita della reale situazione personale del minore e della sua famiglia e senza avere programmato un reinserimento graduale e psicologicamente non traumatico per il bambino: sottolineiamo qui l’importanza che da parte dei servizi e della magistratura sia previsto e un rientro graduale in famiglia e vengano disciplinate e monitorate le modalità di mantenimento dei rapporti fra il bambino, la sua famiglia e gli ex affidatari. ( v. al riguardo altro contributo Anfaa sulla pista n.3)
Non bisogna però dimenticare che ci sono poi casi in cui la famiglia - e questo succede spesso nei casi in cui vi è la presenza di un solo genitore - da sola, non è in grado di occuparsi “in toto” e in maniera adeguata delle necessità educative e formativa dei propri figli, anche se sussistono importanti e validi legami affettivi. In queste condizioni gli affidamenti possono prolungarsi per anni anche fino alla maggior età del ragazzo e oltre, e non devono, tutta via, essere confusi con le adozioni. Queste sono situazioni che devono essere periodicamente verificate e mai lasciate a se stesse: tuttavia il mero criterio temporale non può essere assunto come parametro per decidere rientri in famiglia, dannosi per i bambini.
Va d’altro canto, anche evitata la pericolosa tendenza, purtroppo ancora presente, a disporre affidamenti di minori la cui situazione richiederebbe una apertura di adottabilità.
Se il minore in affido infatti, versa in una situazione di presumibile “privazione di assistenza materiale e morale” da parte dei genitori e dei parenti, a tutela dell’interesse del minore stesso è necessaria la segnalazione alla Procura presso i Tribunali per i minorenni per l’avvio della procedura per la dichiarazione della sua adottabilità;che, se sentenziata, deve comportare l’ inserimento a pieno titolo, come figlio, nella famiglia adottiva1 .
A questo riguardo dobbiamo stigmatizzare purtroppo il crescente orientamento da parte di alcuni Tribunali, a procedere all’adozione nei casi particolari ex art.44 lettera d) nei confronti di minori che, pur essendo in stato di adottabilità, non vengono dichiarati adottabili dai giudici.
Come è noto, l’articolo 44, lettera d) della legge n. 184/1983 e s.m., prevede l’adozione in casi particolari esclusivamente nei confronti di quei minori per cui « vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo», ossia per quei limitati casi in cui per un minore dichiarato adottabile, non sia possibile l’inserimento in una famiglia adottiva avente i requisiti previsti per l’adozione legittimante
D’altro canto, Se i minori non si trovano in stato di adottabilità, non è, a nostro avviso, accettabile la pronuncia di adozioni ex art. 44 lettera d, (spesso impropriamente denominate “adozioni miti”) (1) cui sempre più spesso diversi Tribunali ricorrono nei casi di affidamenti a lungo termine: Non lo troviamo accettabile anche nei confronti del nucleo familiare di origine, che non deve essere espropriato del suo ruolo genitoriale e parentale, anche se per svolgerlo ha bisogno di poter contare sull’aiuto di un’altra famiglia e sul sostegno degli operatori dei servizi socio-assistenziali e sanitari.
La tutela del minore, del suo nucleo familiare di origine e degli affidatari è un compito delle istituzioni di fondamentale importanza, com’è d’altra parte stabilito dalle vigenti leggi che, pur considerando l’affidamento familiare un intervento assistenziale tendenzialmente temporaneo, non esclude la possibilità di affidamenti a lungo termine.
A questo riguardo va ricordato che, in base alla legge n. 184/1983 solo l’affidamento consensuale non può durare più di due anni, ma l’affido è prorogabile dal Tribunale per i minorenni «qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore». In questi casi, ricorrere alla pronuncia dell’adozione nei casi particolari o “mite” dopo qualche anno di affidamento, rischia di tradursi in un sostanziale disimpegno delle istituzioni che, ancor più di quanto avviene purtroppo anche oggi, possono ritenersi non più tenute ad aiutare il nucleo familiare di origine in difficoltà a e a sostenere le famiglie affidatarie che verrebbero così lasciate sole nel gestire il loro rapporto con il minore e la sua famiglia di origine.
Inoltre, se passasse il concetto che gli affidamenti a lungo termine (che sono la stragrande maggioranza degli affidamenti in corso) si possono trasformare in “adozioni miti”, i genitori in difficoltà, non sarebbero disponibili all’affidamento temendo, a ragion veduta, di perdere i propri figli. D’altra parte le esperienze finora realizzate confermano che un minore può vivere per anni in una famiglia affidataria, conservando i rapporti con la propria, senza che ci sia la necessità di trasformare questi affidamenti in adozioni.

(1) Sono stati pubblicati sulla rivista Prospettive assistenziali i seguenti articoli critici in merito all’adozione “mite” :
- F. Santanera “L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione” num. 147 pag 16-25;
- F. Santanera “L’adozione mite: una iniziativa allarmante e illegittima, mai autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura” num. 154, pag 34-39;
- “L’adozione mite: una inquietante iniziativa del Presidente della Corte di appello di Bari” num 158 pag 20-21;
- L. Fadiga “Adozione aperta si o no?” num. 161, pag 14-17;
- F. Santanera “Preoccupante sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino sull’adozione nei casi particolari” num. 162 pag. 31-33;
- “La Corte costituzionale respinge l’utilizzo dell’adozione in casi particolari finalizzata alla sottrazione di un minore al proprio genitore” num 163 pag 60-61;
- M. Dogliotti “Adozione legittimante e adozione mite, affidamento familiare a novità processuali” num. 165, pag 22-24.
Si segnalano inoltre:
- Antonio Scalisi, ordinario di diritto di famiglia e minorile all’Università di Messina “L’adozione mite: una prospettiva non necessaria né utile” su Persona e danno, a cura del Prof. Paolo Cendon (Milano, Giuffrè, 12 novembre 2008);
- Luigi Fadiga “L’adozione «mite» ed «aperta»” su “Aggiornamento al Manuale di diritto minorile di Carlo Moro” quarta edizione, 2008, pag 285-288.
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Re: 2. AFFIDAMENTI LUNGHI, AFFIDAMENTI SINE DIE

Messaggioda paola forzoni » 13/05/2013, 14:14

Trovo sufficiente corrispondenza con la tripartizione proposta:
- gli “affidamenti chiaramente integrativi”, cioè gli affidamenti canonici, quelli intrinsecamente connessi al sostegno alla famiglia di origine - che si auspica rappresentino sempre la maggioranza dei casi – con finalità preminentemente educativa, miranti ad integrare, senza eliminare, il ruolo della famiglia d’origine, per periodi più o meno lunghi. Questi percorsi, che nascono come affidi e tali rimangono, vanno proposti alle “famiglie dei servizi sociali e delle associazioni”, cioè a quelle che sulla base di un percorso formativo e di conoscenza sono ritenute idonee all’affido;

- gli “affidamenti a rischio giuridico - tendenzialmente sostitutivi”, cioè quelli connessi all’apertura della procedura di adottabilità. Si tratta di affidamenti che hanno innanzitutto una funzione di protezione del minore e che, salvo eccezioni, fungono da anticamera dell’adozione. Sono dunque affidamenti finalizzati a fornire – seppur gradualmente e prevedendo una possibile reversione - figure genitoriali alternative a quelle biologiche. Questi affidi, come già avviene in una prassi assai diffusa, vanno proposti alle “famiglie dei tribunali per i minorenni”, cioè a quelle che hanno i requisiti per l’adozione e che hanno dichiarato una precisa volontà di adottare.

- gli “affidamenti ad esito incerto”, che ricorrono in quei casi – si spera sempre eccezionali e poco numerosi - in cui si parte con un impegno significativo di supporto a funzioni genitoriali gravemente compromesse ma che non si è certi di poter recuperare. Possono evolvere tanto in un rientro in casa, quanto in un prolungamento dell’affidamento, quanto nell’apertura della procedura di adottabilità. Sono percorsi “in divenire” che nascono con l’
obiettivo di sostenere il ruolo della famiglia biologica ma che, laddove ciò non risulti fattibile, sono aperti anche ad evoluzioni adottive.

Nella nostra esperienza ci rendiamo conto di quanto si debba ancora fare nel campo della valutazione e sostegno alla famiglia affidataria, ma, più ancora, di come manchi un vero impegno da parte dei servizi che ruotano intorno agli affidi familiari per un serio e costante lavoro che permetta la recuperabilità delle funzioni genitoriali: non si riesce (forse per inadeguata preparazione del personale deputato all’analisi della situazione di partenza?) a fare una diagnosi realistica. Si aggiunge a questo, il trascurabile “impegno” profuso dalle varie professionalità dedicate al servizio per l’affido - non certo , o non soltanto per inadeguatezza individuale – alla comprensione delle situazioni personali che l’incertezza di prospettive determina nell’affidato. Subito occorre soccorso, in controtendenza con i tagli al servizio sociale.
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Re: 2. AFFIDAMENTI LUNGHI, AFFIDAMENTI SINE DIE

Messaggioda VALERIA ZANETTI » 15/05/2013, 5:52

Nella nostra esperienza è frequente operare in contesti in cui l'affido ha come protagonista un bambino che, per un lungo tempo, non potrà vivere con la sua famiglia biologica, ma neppure può perderla del tutto. Sarebbe utile immaginare parametri che aiutino a definire questa situazione di "semi-abbandono".
Non possiamo prescindere dalla definizione del tempo di durata anche per questi affidi, sebbene molta attenzione credo vada posta nell'aiutare le famiglie ad accettare una quota di flessibilità che questi progetti possono avere.
Un affido lungo mette in evidenza più di ogni altro, a mio avviso, la complessità dell'affido in genere, in quanto è necessario che il minore strutturi una doppia appartenenza. Egli dovrà essere aiutato ad acquisire la consapevolezza dei limiti della sua famiglia d'origine, senza sentire lesa la propria appartenenza ad essa, dovrà essere sostenuto nelle potenziali situazioni di conflitto tra vecchie identificazioni e identificazioni nuove che inevitabilmente, altre continue e prolungate esperienze emotive elicitano.
La famiglia affidataria facilmente potrà trovarsi anche nel ruolo di famiglia che non solo integra ma anche supporta le potenzialità della famiglia biologica. E ciò può aiutare a far sì che non ceda alla tentazione di cancellare la storia individuale del bambino, scivolando magari inconsapevolmente nel ruolo della famiglia "salvatrice".
VALERIA ZANETTI
 
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