Al centro del dibattito sulla durata e sugli esiti degli affidamenti familiari v’è la questione relativa alla valutazione prognostica di recuperabilità delle competenze genitoriali. Ancora insufficientemente praticata, essa è l’elemento discriminante tra un “buono” e un “cattivo” affido. Per usare una metafora, essa è la bussola che orienta l’operatore nel decidere “che tipo di affido progettare”, “a quale famiglia” e “per quanto tempo”. Parafrasando le linee guida della Regione Veneto in materia di affidamento familiare, possiamo affermare che molta delle confusione che si ingenera nei percorsi di protezione e accoglienza dei minori è il frutto di «fallimenti prognostici di recuperabilità delle famiglie di origine» (1). Questo rimanda non solo alla necessità di un più vigoroso sforzo progettuale ma anche al bisogno di contemplare e potenziare la capacità dei servizi di effettuare adeguate valutazioni, tenendo presente che l’attuale assetto formativo e organizzativo determina una diffusa difficoltà ad espletare compiutamente tale tipo di lavoro. In un documento diffuso da Progetto Famiglia nel maggio 2010 (2) si sottolinea che, in presenza di un adeguato sistema di valutazione di recuperabilità genitoriale, sarebbe possibile fare chiarezza nel panorama degli affidamenti familiari, distinguendo tra:
• gli “affidamenti chiaramente integrativi”, cioè gli affidamenti canonici, quelli intrinsecamente connessi al sostegno alla famiglia di origine - che si auspica rappresentino sempre la maggioranza dei casi – con finalità preminentemente educativa, miranti ad integrare, senza eliminare, il ruolo della famiglia d’origine, per periodi più o meno lunghi. Questi percorsi, che nascono come affidi e tali rimangono, vanno proposti alle “famiglie dei servizi sociali e delle associazioni”, cioè a quelle che sulla base di un percorso formativo e di conoscenza sono ritenute idonee all’affido;
• gli “affidamenti a rischio giuridico - tendenzialmente sostitutivi”, cioè quelli connessi all’apertura della procedura di adottabilità. Si tratta di affidamenti che hanno innanzitutto una funzione di protezione del minore e che, salvo eccezioni, fungono da anticamera dell’adozione. Sono dunque affidamenti finalizzati a fornire – seppur gradualmente e prevedendo una possibile reversione - figure genitoriali alternative a quelle biologiche. Questi affidi, come già avviene in una prassi assai diffusa, vanno proposti alle “famiglie dei tribunali per i minorenni”, cioè a quelle che hanno i requisiti per l’adozione e che hanno dichiarato una precisa volontà di adottare.
• gli “affidamenti ad esito incerto”, che ricorrono in quei casi – si spera sempre eccezionali e poco numerosi - in cui si parte con un impegno significativo di supporto a funzioni genitoriali gravemente compromesse ma che non si è certi di poter recuperare. Possono evolvere tanto in un rientro in casa, quanto in un prolungamento dell’affidamento, quanto nell’apertura della procedura di adottabilità. Sono percorsi “in divenire” che nascono con l’obiettivo di sostenere il ruolo della famiglia biologica ma che, laddove ciò non risulti fattibile, sono aperti anche ad evoluzioni adottive.
(1) Linee Guida 2008 peri servizi sociali e sociosanitari. L’affido familiare in Veneto. Cura, orientamenti, responsabilità e buone pratiche per la gestione dei processi di affidamento familiare, Regione Veneto, Vicenza, 2008, pagg. 173-175.
(2) Documento “Affidi familiari ad esito incerto. I rischi di un varco indiscriminato tra affido ed adozione ed il bisogno di risposte e garanzie concrete per i minori coinvolti in affidamenti familiari ad “esito incerto” diffuso da Progetto Famiglia il 29.05.2010.
SPUNTI PER IL CONFRONTO
Affidamenti “integrativi”, affidamenti sostitutivi (a rischio giuridico), affidamenti ad esito incerto. Si condivide questa “tripartizione”?