1. INSUFFICIENZA QUANTITATIVA DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE

La crisi relazionale post-moderna e la dimensione comunitaria del lavoro sociale e del volontariato; la promozione della solidarietà familiare, il radicamento territoriale e la condivisione dei bisogni; il lavoro di rete formale e informale: visione olistica e approccio ecologico; i tessitori naturali delle reti; la supervisione “esperta” delle reti.

ESPERTI COINVOLTI: Alfonso Pepe, Associazione Progetto Famiglia Avellino; Luigi e Anna Piccoli, Ass. Il Noce di Casarsa della Delizia (PN); Elisabetta Giuliani, Servizio Affidi della Provincia di Roma; Giorgio Marcello, Dipartimento di Sociologia dell’Università di Cosenza; Giancarlo Cursi, Pontificio Ateneo Salesiano di Roma; Nicoletta Goso, Movimento Famiglie affidatarie e solidali, Roma; Antonella Pontillo, Associazione Progetto Famiglia Benevento; ...

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1. INSUFFICIENZA QUANTITATIVA DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 08/03/2013, 22:09

I dati sull’affidamento familiare in Italia mettono in evidenza quanto l’accoglienza in famiglia di minori privi di un ambiente familiare idoneo rappresenti un fenomeno ancora modesto. Sia pure con un leggero trend di crescita, su un totale complessivo di circa 21.171 minori che vivono all’esterno del nucleo familiare allargato, meno del 30% è accolto presso una famiglia. Approfondendo l’analisi sui dati comparativi tra le diverse zone d’Italia si evidenzia l’esistenza di aree del Paese nelle quali il ricorso all’affidamento familiare è marginale o addirittura assente e prevale invece l’inserimento in comunità (1). Onde evitare una dannosa e quanto mai sterile contrapposizione ideologica tra il servizio svolto dalle strutture residenziali ed i percorsi di affidamento familiare è utile precisare, anche a rischio di apparire banali, che in molti casi i minori hanno bisogno di specifici percorsi di cura che solo una comunità residenziale con personale altamente qualificato può dare. Ciò chiarito è doveroso segnalare il sospetto che una parte importante dei bambini e ragazzi out of home sia inserita nelle strutture residenziali, non per il bisogno di tale specifico intervento, ma causa dell’assenza di famiglie affidatarie disponibili ed idonee ad accoglierli. Allargando il ragionamento ai minori non allontanati, non possiamo non unirci ad uno degli ultimi appelli lanciati dal compianto Alfredo Carlo Moro, secondo il quale occorre «riconoscere che vi è una potenziale domanda non appagata di affidamento: vi sono molte situazioni di disagio che potrebbero trovare una risposta nell’affidamento eterofamiliare ma che non la trovano o per l’impreparazione dei servizi o per la mancanza di adeguate risorse. E questi ragazzi che rimangono in famiglie dissestate li ritroveremo, nella fase preadolescenziale e adolescenziale, nelle file della devianza minorile» (2). La situazione denunciata da Moro potrebbe essere confermata da un ulteriore, più recente, elemento che scaturisce dal confronto tra i dati dei minori fuori famiglia al 31.12.2010 e quelli di due anni prima. Si evidenzia infatti una diminuzione del numero dei minori “out of home” di circa 1.400 unità (30.700 nel 2008, 29.000 nel 2010) pari a quasi il 5%. Così commenta questo dato il Tavolo Nazionale Affido: «Se si tratta di una variazione reale (la disomogeneità dei sistemi di monitoraggio e raccolta dei dati impedisce di dare a questo gap una fondatezza assoluta) la differenza, seppur di minima entità, indica una riduzione del numero di minori allontanati. In tal caso dovremmo chiederci se si tratti di una “riduzione del bisogno” (il che sarebbe indicativo di una migliore capacità di prevenzione degli allontanamenti e di un migliore stato di salute delle famiglie di origine) o se, invece, siano i primi segnali di una ridotta capacità di tutela (causata dalla progressiva contrazione delle risorse impiegate nel welfare) che lascerebbe non protetto un crescente numero di bambini e ragazzi» (3).

(1) Me S., Burlando L. (2010), Un percorso per l’affido. Il progetto nazionale di promozione dell’affidamento familiare, in Cittadini in Crescita (nuova serie), n. 1/2010, pagg.60-64.
(2) Moro A.C. (2006), Introduzione in Ricci S., Spataro C., Una famiglia anche per me, Erickson, Trento.
(3) Tavolo Nazionale Affido, 2013, Riflessione sulla situazione dei minori in affidamento o in comunità in Italia.

SPUNTI PER IL CONFRONTO
Il numero delle famiglie affidatarie in Italia è insufficiente rispetto al bisogno di accoglienza?
Vi sono minori inseriti in comunità che avrebbero piuttosto bisogno di un affidamento familiare?
Vi sono minori in famiglia che avrebbero bisogno di andare in affidamento familiare ma che non vi accedono per mancanza di famiglie o, peggio, per indisponibilità-mancata attivazione dei servizi?
Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
 
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Re: 1. INSUFFICIENZA QUANTITATIVA DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE

Messaggioda Maddalena Salvio » 20/03/2013, 12:30

Penso sia assolutamente insufficiente il numero di famiglie affidatarie rispetto ai minori che avrebbero necessità di essere accolti. Per quanto le comunità abbiano un'organizzazione di tipo "familare", resta sempre il fatto che si tratta appunto di comunità in cui gli operatori sono diversi e spesso si alternano col rischio di creare confusione nel bambino o, peggio, attaccamento verso qualcuno che potrebbe andar via. E necessario che i servizi lavorino con le famiglie per creare la cultura dell'accoglienza garantendo loro tutto il supporto necessario
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Re: 1. INSUFFICIENZA QUANTITATIVA DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE

Messaggioda adelecavallo » 09/04/2013, 7:05

Visto che dalla nota introduttiva e dall'intervento della dott. Salvio si evince che è necessario che i servizi lavorino con le famiglie per creare la cultura dell'accoglienza, garantendo loro tutto il supporto necessario, si potrebbe tentare di diffondere meglio quali sono le azioni di sensibilizzazione già in atto e, se non sono sufficienti o non sono efficaci, si potrebbe tentare di agire diversamente, magari collaborando anche attraverso un forum permanente
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Re: 1. INSUFFICIENZA QUANTITATIVA DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE

Messaggioda ELISABETTA GIULIANI » 10/04/2013, 11:21

Sarebbe interessante approfondire i motivi dell’“indisponibilità- mancata attivazione dei servizi”; sappiamo bene come l’affidamento familiare sia un intervento ad alta complessità, che richiede competenza professionale, coordinamento tra le istituzioni locali, pubbliche e private, e strumenti adeguati per garantire la gestione di tutte le fasi del percorso di affido.
Nell’esperienza sul territorio provinciale di Roma si è rilevato come in alcuni casi i progetti di affido non vengono avviati perché non ci sono le condizioni per garantire la continuità degli interventi; l’assistente sociale che lavora in solitudine o non può contare sulla collaborazione di altre figure professionali o vive una situazione di precarietà lavorativa (per esempio contratti a termine di tre o sei mesi) non ha i presupposti per effettuare un intervento che si proietta nel tempo e che richiede azioni coordinate in una dimensione di lavoro in equipe; inoltre un progetto di affido coinvolge una molteplicità di relazioni umane (il minore, la sua famiglia e la famiglia affidataria) che si basano molto sulla fiducia e sulla continuità. Il turn over degli operatori, oltre che essere mortificante per gli stessi, va ad incidere pesantemente sulla qualità degli interventi.
ELISABETTA GIULIANI
 
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Re: 1. INSUFFICIENZA QUANTITATIVA DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE

Messaggioda DONATA MICUCCI » 13/05/2013, 8:59

Nella pista di riflessione n.3 intendiamo intervenire sul punto 1."Insufficienza quantitativa delle famiglie affidatarie" in quanto, contrariamente a quanto sostenuto da più parti, a nostro parere, lo scarso sviluppo degli affidamenti non è imputabile alla mancanza di persone disponibili, che, come le esperienze dimostrano, si trovano se vengono cercate, informate, preparate, valutate e ben supportate dai servizi. Le ricerche finora realizzate in materia di affido , già citate in diverse parti delle Piste di riflessione , hanno invece evidenziato una diffusa latitanza delle Regioni e degli Enti locali, che non assolvono oppure assolvono in maniera inadeguata, alle precise competenze istituzionali già loro attribuite dalla legge n. 184/1983: è questa la ragione principale dello scarso “decollo” dell’affidamento familiare.

Fermo restando che lo strumento migliore per un’implementazione resta quello di seguire bene gli affidamenti in corso, in modo che coloro che vivono a contatto con le famiglie d’origine, i minori e gli affidatari siano invogliate ad attivarsi, sul piano propositivo riteniamo che dovrebbe essere potenziata la sensibilizzazione specifica, impostandola ed articolandola in più direzioni:
- iniziative informative (depliant, spot, inserti pubblicitari su quotidiani, settimanali, ecc.) dirette al reperimento di disponibilità di nuovi affidatari, anche attraverso la presentazione di brevi storie, che consentano di “esemplificare” le situazioni delle famiglie e dei bambini per cui si ricercano gli affidatari;
- azioni culturali finalizzate ad un ampio coinvolgimento di tutti i settori ( non solo quello socio-assistenziale, ma anche quelli sanitari, culturali, sportivi, ecc.) e dirette a promuovere una cultura delle responsabilità e dei diritti, a partire dal diritto di ogni bambino a crescere in una famiglia. In questa ottica l’affidamento si configura come intervento necessario e dovuto nei confronti famiglie in difficoltà e dei loro bambini;
- coinvolgimento della società civile, costruendo momenti specifici e mirati sulle diverse possibilità di sostegno alle difficoltà familiari e di accoglienza dei bambini, sia con le associazioni operanti nel settore socio-assistenziale, che con quelle degli ambiti scolastici, familiari, sportivi, culturali, ecc.
Per quanto riguarda il rapporto fra il settore pubblico e quello del privato-sociale in questa fase, concordiamo con quanto previsto sul tema dal documento, che riportiamo di seguito, approvato dal Coordinamento nazionale dei servizi affidi a cui aderiscono una sessantina di Enti e le Associazioni più rappresentative operanti nel nostro Paese in questo settore.

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Coordinamento Nazionale Servizi Affido
Sensibilizzazione sull’affido
Il Coordinamento nazionale servizi affidi ritiene di poter offrire un documento relativo al tema della “promozione dell’affido” già confrontato e condiviso con Associazioni del privato sociale che si occupano di affido familiare.
La sensibilizzazione e, in genere, tutta l’area della promozione, appare come il terreno privilegiato della collaborazione tra i servizi sociali locali e le associazioni del privato sociale. Diversi sono i motivi che sostengono questa affermazione e diversi i livelli in cui essa può tradursi in concreta prassi, rispetto alla quale diventa fondamentale individuare strategie, percorsi, alleanze e, prima ancora, presupposti.
Prioritario diventa definire alcuni punti chiave come premessa ad un lavoro che basa necessariamente il rapporto di collaborazione su interessi, obiettivi comuni e differenze. Differenze relative a competenze, ruoli, mission del pubblico e del privato, nonché interne ai due settori, quello dell’associazionismo e quello del pubblico.
Diventa importante definire il contesto di questo lavoro, che non può non essere condizionato dal fatto che gli interlocutori sono alcune Associazioni e il Cnsa (Coordinamento nazionale servizi affidi), rappresentante dei servizi sociali aderenti.
Definizioni e chiarificazioni, di principi, di strategie, seppure non esaustivi nell’immediato, possono allora contribuire a costruire linee guida ma anche documenti programmatici che orientino le prassi e costituiscano stimoli e punti di riferimenti di carattere culturale e teorico per quanti hanno interesse per il tema e per l’intervento di affido.
Il contesto in cui opera l’affido è un contesto di aiuto al minore in condizione di disagio sociale e affettivo. Negli anni è andato connotandosi come intervento di obbligatoria protezione e tutela a fronte di condizioni di rischio e malessere, quando non di danno conclamato.
Tale contesto fa sì che diventi fondamentale e imprescindibile la presenza dei servizi e necessario ed indispensabile il contributo del “privato “ (famiglie e associazioni).
Il servizio sociale locale ha il compito, come stabilito dalle leggi in materia, di elaborare un progetto nel quale vanno indicati i compiti e i modi dello stesso che devono essere rapportabili ad un complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine.
Il servizio sociale locale ha il compito di svolgere sostegno educativo e psicologico nei confronti del minore, agevolare i rapporti tra la famiglia d’origine e quella affidataria, avvalendosi di tutte le risorse e i Servizi presenti nel territorio.
Al servizio sociale locale spetta il compito di tutela del minore, la responsabilità di un progetto, la predisposizione di un piano individualizzato di sostegno. Ad esso spetta la funzione di decidere, attuare, gestire, monitorare l’intervento ritenuto più adatto per il minore in difficoltà e per la sua famiglia.
Risorse e attenzione devono essere poste dal servizio sociale locale nella cura degli affidi in atto, in quanto l’esperienza ha insegnato che gli affidi ben seguiti sono un’importante forma di sensibilizzazione.
Il “privato” concorre alla realizzazione dell’affido e alla promozione di una cultura della solidarietà e dell’accoglienza, che parte dal riconoscimento delle esigenze dei bambini e degli adolescenti e delle loro famiglie, promuovendo il riconoscimento dei loro diritti.
Viene riconosciuto al privato sociale l’impegno e la capacità di testimoniare che la solidarietà e l’accoglienza rappresentano valori importanti e significativi che rendono migliore il contesto in cui noi tutti viviamo.
I presupposti fondamentali per lo sviluppo del rapporto tra servizio sociale locale e privato sociale nell’ambito della promozione dell’affido, possono essere evidenziati in:
1) il servizio sociale locale che ha in carico il caso è titolare del progetto per il bambino e per la sua famiglia;
2) le associazioni del privato sociale rivestono un ruolo fondamentale e primario nella promozione di una cultura concreta di solidarietà;
3) il rapporto deve svilupparsi attraverso azioni coordinate a rete tra i vari soggetti pubblici e privati in cui si confrontino produttivamente un servizio sociale locale forte delle proprie funzioni di garante, di indirizzo e di verifica degli interventi di promozione ed un associazionismo competente e qualificato.
Riteniamo che la promozione dell’affido possa essere efficacemente realizzata solo in un contesto in cui pubblico e privato si ri-conoscono reciprocamente quali portatori di competenze e funzioni diverse, trovando sinergie e linguaggi comuni, rispetto a obiettivi chiari e definiti, basati su principi e valori condivisi, da esplicitare, quali:
- caratteristiche emergenti dei minori sui quali orientare prioritariamente la campagna
- chiarezza e condivisione degli obiettivi e del percorso di affido
- consapevolezza che si sta lavorando per gli stessi obiettivi
- costruzione di alleanze sui principi/valori fondamentali
- definizione di messaggi/linguaggi omogenei
- chiarezza su compiti e ruoli
Nel processo di coprogettazione il servizio sociale locale porterà la conoscenza dei bisogni espressi dalle situazioni in carico e le associazioni la conoscenza del territorio nel quale la campagna deve essere realizzata.
Indispensabile è definire insieme a chi ci si vuole rivolgere, chi è in nostro target, i contenuti che si vogliono sviluppare e le modalità.
Nella gestione delle iniziative di promozione accanto a iniziative comuni in cui rendere visibile la coprogettazione e la promozione condivisa, il valore aggiunto di un sistema di interrelazione tra pubblico e privato , è rappresentato dal moltiplicarsi di occasioni e modi di diffusione della cultura dell’affido.
Al servizio sociale locale spetterà prioritariamente la produzione di materiale, l’organizzazione di momenti più formali e centrali, in cui le famiglie affidatarie e le associazioni sono i principali testimonial.
Le associazioni possono personalizzare la promozione, utilizzando momenti e strumenti più informali, che hanno la capacità di rendere accessibile e non “minaccioso” l’avvicinarsi all’affido, mostrandolo come un percorso, un processo di avvicinamento.
Il rapporto tra pubblico e privato nell’ambito della promozione ha un suo naturale proseguo nella fase informativa/formativa alle famiglie che sono state sensibilizzate dalle iniziative proposte.
Infine si riconosce la competenza dell’associazionismo nel collaborare per il mantenimento della motivazione all’affido nelle famiglie, sia attraverso progetti specifici condivisi, sia attraverso una continua sollecitazione al pubblico rispetto alle responsabilità che gli sono proprie.
Con finalità esplicative riteniamo opportuno offrire uno schema dei ruoli e delle competenze del pubblico e del privato.
Compiti/competenze del servizio sociale locale per la sensibilizzazione e la promozione
- Diffusione della cultura dell’affido sia all’interno dell’Ente che all’esterno attraverso adeguate risorse e disponibilità
- Iniziative continuative di promozione e produzione di materiale informativo ad alta visibilità per richiamare interesse e motivazione
- Necessari filtri centralizzati e decentrati
- Incontri di gruppo informativi con il coinvolgimento dei servizi socio-sanitari ed educativi del territorio
- Collaborazione alla gestione del filtro telefonico
- Incontri formativi
- Percorso di conoscenza, formazione, supporto alle Famiglie aspiranti all’ affido anche attraverso la gestione dei gruppi di famiglie affidatarie.

Ruolo delle Associazioni
- Diffusione Cultura Affido
- Sensibilizzazione attraverso contatti, conoscenze proprie, anche informali (passaparola)
- Organizzazione di iniziative di informazione e promozione autonome
- Predisposizione e cura di materiale di diffusione, bibliografico, informativo
- Aiuto nel decodificare messaggi
- Sensibilizzazione e pressione politica
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Re: 1. INSUFFICIENZA QUANTITATIVA DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE

Messaggioda INES BAGGI » 13/05/2013, 13:59

Si ritiene importante porre all’attenzione del Forum alcune considerazioni in merito agli interventi svolti in questi anni dall’Associazione che riportano in evidenza alcuni aspetti di massimo impegno e alcune criticità.
In particolare è compito dell’Associazione il raccordo con i Servizi, non sempre facile per la ricchezza e complessità organizzativa di alcuni territori, con l’applicazione di Linee Guida sull’affido che non sono spesso tradotte in operatività omogenea su tutti gli ambiti territoriali.
Ciò impone un’alta competenza professionale dello staff dell’Associazione, che deve essere in grado di rapportarsi con tutti i Servizi, senza prevalere sulle loro priorità e compiti, sostenendo le famiglie che si interfacciano con l’Associazione, indirizzando le stesse verso una disponibilità realmente aderente ai bisogni dei minori.
Nella realizzazione del percorso di affido , si evidenzia l’importanza rilevante di un continuo monitoraggio della famiglia affidataria, dei necessari raccordi con i Servizi territoriali, per garantire la traduzione coerente delle indicazioni dei professionisti alle famiglie che svolgono affido.
Si è evidenziato in questi anni , un fenomeno interessante che andrebbe maggiormente considerato ed approfondito, riguardante la presenza di “coppie” senza figli che si avvicinano all’affido o anche “single” che si dimostrano interessati.
Ciò spesso è fonte di ambiguità da parte degli stessi, sulle reali motivazioni all’affido, spesso lontane dalla realtà e dai problemi dei minori affidati.
Queste situazioni familiari possono disorientare il gruppo di “affidatari potenziali”, risultando devianti e ostacolanti una buona coesione tra le famiglie affidatarie che abbiano o meno in carico un minore. Queste riflessioni potrebbero essere fonte di confronto.”
INES BAGGI
 
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