3. DIMENSIONE RELAZIONALE DELLA PROMOZIONE DELL’ACCOGLIENZA

La crisi relazionale post-moderna e la dimensione comunitaria del lavoro sociale e del volontariato; la promozione della solidarietà familiare, il radicamento territoriale e la condivisione dei bisogni; il lavoro di rete formale e informale: visione olistica e approccio ecologico; i tessitori naturali delle reti; la supervisione “esperta” delle reti.

ESPERTI COINVOLTI: Alfonso Pepe, Associazione Progetto Famiglia Avellino; Luigi e Anna Piccoli, Ass. Il Noce di Casarsa della Delizia (PN); Elisabetta Giuliani, Servizio Affidi della Provincia di Roma; Giorgio Marcello, Dipartimento di Sociologia dell’Università di Cosenza; Giancarlo Cursi, Pontificio Ateneo Salesiano di Roma; Nicoletta Goso, Movimento Famiglie affidatarie e solidali, Roma; Antonella Pontillo, Associazione Progetto Famiglia Benevento; ...

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3. DIMENSIONE RELAZIONALE DELLA PROMOZIONE DELL’ACCOGLIENZA

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 08/03/2013, 22:01

L’insufficienza quantitativa delle famiglie affidatarie e delle reti di solidarietà inter-familiare è uno dei segni di una “fatica” più profonda e radicale, che ha a che fare con la crisi/ridefinizione dei legami sociali e con il conseguente processo di frammentazione anomica della comunità. Già vent’anni fa Dossetti scriveva: «siamo di fronte ad evidenti sintomi di decadenza globale. Anzitutto sul piano demografico (tasso di natalità più basso), la crisi della scuola, appannamento di riferimenti valoriali condivisi, … La crisi dell’essere con, dell’essere al mondo insieme. L’aspetto fondamentale è la solitudine che ognuno regala a se stesso. La comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole fino alla riduzione al singolo individuo» (1). Si tratta di trasformazioni epocali, in cui la società slitta verso posizioni sempre più “fredde” (Z.Bauman), rischiose (U.Beck) e a termine (R.Sennet). Giorgio Marcello, ricercatore del dipartimento di Sociologia dell’Università delle Calabrie, da anni impegnato nello studio delle reti di accoglienza e solidarietà comunitaria osserva che: «in questo quadro l’accoglienza appare come un compito “impossibile” (…). Da un lato, aumenta la disuguaglianza, crescono le situazioni di disagio sociale, si complessificano i bisogni di accoglienza; dall’altro, si dilatano le manifestazioni della vulnerabilità, come fenomeno trasversale, con un impatto problematico sulla possibilità di accogliere» (2). A tutto ciò non si può rispondere con un generico appello alla solidarietà. Senza questa consapevolezza si corre il rischio di parlare di "famiglie affidatarie" (o anche solo di “famiglie” e di “comunità”) in maniera astratta e, peggio ancora, astorica. Questo non vuol dire che non si debba far nulla. Tutt'altro! Solo è necessario non ripetere acriticamente modalità promozionali dimostratesi inefficaci (e tenere presente il carattere parziale, provvisorio e "penultimo" di ogni soluzione operativa). Domandiamoci: quante nuove disponibilità sono state reperite tramite le decine e decine di campagne informative e pubblicitarie realizzate nell’ultimo quindicennio ed a fronte dei milioni di euro spesi in tal senso con i progetti finanziati dalla legge 285/97? Poche, molto poche! Per non parlare poi del complesso lavoro di “scrematura” delle tante surrettizie manifestazioni di interesse all’affido, spesso erroneamente indotte dalle stesse campagne di informazione, espresse da famiglie alla ricerca di un bambino per sé. Frequentemente, al termine di mesi e mesi di lavoro promozionale, formativo e valutativo, le famiglie “reperite” si contano sulle dita di una mano! Occorre rilevare che nel campo dell’affido le campagne di comunicazione di massa, anche se ben studiate e con contenuti chiari ed efficaci, sortiscono effetti assai scarsi. E di certo il problema non si risolve aumentando il dosaggio, cioè moltiplicando la dimensione dei manifesti, il numero degli spot televisivi e radiofonici, … La soluzione non va infatti ricercata nella scelta di tecniche e metodologie pubblicitarie più avanzate ed accattivanti. L’elemento centrale della promozione dell’affido non può essere il battage pubblicitario. L’esperienza dimostra invece che si riescono a raggiungere discreti risultati quando la sensibilizzazione è veicolata attraverso un sistema di relazioni inter-personali, basato su meccanismi di fiducia reciproca. Salvo eccezioni, una famiglia prende in considerazione una proposta delicata, complessa, rischiosa e coinvolgente, … com’è quella dell’affidamento familiare, solo se a veicolargliela è una persona (o meglio ancora, un contesto) di cui si fida. Da anni, sia l’esperienza sul campo che la riflessione teorica mettono l’accento su quanto la “relazione di fiducia” sia un elemento necessario per il lavoro sociale (3).

(1) Dossetti, in “Sentinella, quanto resta della notte” (1994)
(2) Marcello G. (2010), Costruzione sociale delle reti di vicinanza e resistenza alla frammentazione delle relazioni, in Segnali di Comunità. Riflessioni ed esperienze che ritessono legami, Edizioni Rosso Fisso, Salerno.
(3) Folgheraiter F. (2004) Il servizio sociale postmoderno. Modelli emergenti, Erickson, Trento.

SPUNTI PER IL CONFRONTO
Quanto la “dimensione relazionale” incide sull’efficacia della promozione dell’accoglienza familiare?
Quali sono gli “ingredienti” da mettere in campo per attivare una adeguata “dimensione relazionale” del lavoro sociale? Quali le “buone pratiche” e le “esperienze” da prendere a riferimento?
Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
 
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Re: 3. DIMENSIONE RELAZIONALE DELLA PROMOZIONE DELL’ACCOGLIE

Messaggioda ROBERTA DEIANA » 27/03/2013, 11:50

Il Coordinamento Provinciale dei Poli Affido della Provincia di Roma (Ufficio Giovani e Minori ed equipe dei Poli Affido interdistrettuali) fin dal 2003 ha investito molto sulla sensibilizzazione e promozione dell’affido familiare, organizzando due volte l’anno (a maggio e a novembre) le “settimane” dell’affido familiare e una giornata di “Festa dell’Affido”. Gli eventi, realizzati a livello territoriale grazie alla forte collaborazione tra gli operatori dei Poli (assistenti sociali e psicologi dei Comuni e ASL) e delle Associazioni locali del Privato Sociale, hanno previsto mostre, minitornei sportivi, pulmini itineranti, gazebo informativi nelle piazze, proiezioni cinematografiche, incontri tematici ecc. Anche se c’è stata un’ampia partecipazione della popolazione che ha potuto ricevere informazione dettagliate sull’affidamento familiare, di fatto le equipe dei Poli hanno registrato un numero esiguo di disponibilità concrete all’accoglienza. Pertanto si è aperta, all’interno del Coordinamento, una riflessione critica sull’utilità di tali modalità di promozione dell’affido, che tra l’altro hanno visto un grande dispendio di tempo ed energia da parte di operatori già sovraccarichi di lavoro. Negli anni abbiamo rilevato che la maggior parte delle famiglie che si rendono disponibili all’accoglienza lo fanno sollecitati da esperienze positive di cui vengono direttamente a conoscenza.
Ulteriori riflessioni sull’argomento sono state stimolate dal confronto con l’esperienza che ha presentato Marco Giordano in occasione di un corso di formazione organizzato dalla Provincia di Roma; in questo momento il Coordinamento sta riflettendo su un cambiamento di strategia che favorisca la promozione della costruzione di relazioni solidali, che porti ad una valorizzazione della dimensione comunitaria e consenta di intervenire in maniera preventiva sul disagio dei minori e delle loro famiglie.
Questo tipo di strategia richiede un lavoro integrato tra pubblico e privato sociale, ma, come assistente sociale di un servizio pubblico, mi chiedo: quanto gli operatori sociali pubblici, già pesantemente ridotti nell’organico dei vari Enti, spesso precari, sovraccarichi di lavoro e pertanto costretti ad operare prevalentemente sulle emergenze, possono realmente farsi carico di un lavoro così impegnativo come quello che prevede l’attivazione e il coinvolgimento delle risorse della comunità locale?
ROBERTA DEIANA
 
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DIMENSIONE RELAZIONALE DELLA PROMOZIONE DELL’ACCOGLIENZA

Messaggioda CegliaADV » 02/04/2013, 16:59

Come Fondazione L'Albero della Vita, dal 2006 ad oggi abbiamo formato quasi 120 famiglie all'affido e avviato più di 70 affidi. La nostra esperienza è sicuramente quella descritta: grandi campagne pubblicitarie, spot radio.. hanno prodotto pochissimi interessi concreti, mentre nel tempo il passaparola si è rivelato lo strumento principe della diffusione del messaggio dell'affido, come forma di accoglienza complessa, ma arricchente. Le famiglie tendono a rivolgersi a realtà che percepiscono come serie e sensibili, si fidano quando sentono che c'è un'Equipe che sostiene tutto il nucleo in un'esperienza che non è tutta rose e fiori. Apprezzano quello che definiscono una professionalità radicata, ma calda. Una comunicazione diretta e veritiera, che non mira ad "addolcire la pillola" ma descrive l'affido nelle sue dinamiche peculiari, evidenziando le risorse che ognuno può mettere in campo per superare le difficoltà. Colgono che chi parla ha esperienza e parla del proprio lavoro con umanità e passione. Colgono la dimensione valutativa che è presente, ma sentono che non necessariamente c'è feroce giudizio. Nella nostra esperienza, il sostegno garantito ad affido avviato, è una delle cose che attira di più: il fatto di poter contare su un educatore che ti aiuta ad individuare le strategie educative più funzionanti, su una psicologa che ti sostiene nel fare delle letture ed elaborare quanto l'affido ha inciso sulla tua vita personale e di coppia, su un coordinatore che ti aiuta nel mediare il meglio possibile con tutti gli attori che ruotono intorno all'affido, permette alle persone di sentirsi più sicure e indubbiamente non sole nell'affrontare un'esperienza tanto complessa.
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Re: 3. DIMENSIONE RELAZIONALE DELLA PROMOZIONE DELL’ACCOGLIE

Messaggioda Antonella Buttiglione » 30/04/2013, 8:43

Questo contributo è il frutto del lavoro di condivisione di pratiche e conoscenze fra operatori della Coop. sociale Itaca di Conversano (Bari) che lavorano sull’affido familiare in diversi territori (ambiti) della provincia barese.

<<Il problema che ciascuno di noi deve affrontare sta nel fatto che le relazioni sono invisibili, sono immateriali, sono intangibile goods, sono beni intangibili. Per capire che cosa ciò significa, possiamo fare un paragone con l’aria. Anche l’aria è invisibile, è intangibile. Tuttavia, noi senza aria non vivremmo; le relazioni sono la stessa cosa. Noi non possiamo vivere senza le relazioni. Ma le relazioni sono un po’ come l’aria, non le vediamo e in genere le percepiamo solo in negativo, quando diventano un disturbo, una fonte di disagi, conflitti o irritazioni del nostro Io.>>

P. Donati, Sociologia della relazione, il Mulino, Bologna 2012, p. 23



La promozione all’affido familiare da parte degli attori pubblici, nella nostra esperienza, è spesso interpretata come un’azione a sé stante che deve produrre “contatti” da utilizzare nelle continue emergenze e per rispondere prontamente alle esigenze dei tribunali. La parola contatto definisce l’intensità, il peso della relazione idealizzata dai servizi: qualcosa che si può accendere e spegnere quando si vuole, just in time. E’ tra noi evidente la fallacia di questa impostazione. Non tiene conto della complessità dell’esperienza dell’affido familiare per tutti gli attori in campo e ignora la fenomenologia delle relazioni. Tale impostazione è di per sé foriera di un fallimento. Da ciò discende che l’affido familiare diventa sovente una soluzione impropria.

Chi vuole lavorare sulla promozione all’affido familiare, consapevole della costante crescita del bisogno “sommerso” di affidi per via dell’estensione dell’area di vulnerabilità sociale, non può rispondere a questo bisogno dei servizi senza malessere. Un malessere che solo in alcuni contesti ha avuto lo spazio per diventare pungolo e proposta innovativa, accolta dai servizi.
La richiesta continua e pressante, sin dal primo giorno di progetto, di contatti definisce una relazione tra servizi e operatori frustrante e insoddisfacente. Qui matura e si raccoglie la frustrazione dell’operatore sociale che si ritrova a promuovere incontri, dibattiti, laboratori attingendo alla propria rete di riferimento, in solitudine rispetto alla rete dei servizi, e sa bene che i tempi per la maturazione di una scelta, per accettare una provocazione, sono diversi e lontani dall’emergenza e dai tempi del progetto e sa che rispetto all’enorme bisogno (?) che i servizi hanno, il proprio lavoro sarà valutato insufficiente. Lavorare a tempo, a progetto, inoltre, non permette di poter interpretare bene un lavoro altro, di cura delle relazioni, che per essere efficace deve poter contare sul medio-lungo periodo. La cura delle relazioni, che riteniamo sia il centro propulsivo per una buona “promozione all’affido” è la cura di un bene intangibile un bene che ha bisogno di tempi e luoghi difficilmente conciliabili con la vecchia logica dell’informazione top-down. In molti territori, soprattutto laddove la promozione dell’affido è un progetto a sé stante, diviene un luogo stretto e abitato dalla contingenza, in cui si producono e consumano eventi.
Abbiamo fatto esperienza di come la promozione, l’attività di alimento e ricerca delle disponibilità all’affido attraverso gli strumenti più classici o innovativi implica una dimensione essenziale che è quella temporale.
I tempi della maturazione di una disponibilità non corrispondono alla frammentazione e alla discontinuità della presenza sul territorio, tutta legata a bandi e gare dagli esiti sempre incerti, che quasi mai garantiscono una continuità di servizio.
Laddove si è riusciti a far maturare una disponibilità all’affido, quando la promozione è vista come azione separata da tutto il processo d’affido, si assiste continuamente al saccheggio delle risorse e si vive la frustrazione di aver alimentato qualcosa il cui insuccesso “brucerà” risorse dirette e indirette.
Siamo concordi nell’affermare che la migliore promozione possibile è senza dubbio quella che avviene tramite buone prassi.
Spesso le risorse attivate vengono immesse in un percorso emergenziale, dentro contesti familiari multiproblematici, in assenza di un progetto e di risorse (economiche, professionali ecc.). Si costruisce così il fallimento dell’esperienza, che colpisce in modo doloroso il minore e le famiglie coinvolte.
Il fallimento delle esperienze d’affido è il nodo fondamentale all’ordine del giorno.

Per promuovere l’affido familiare, nella nostra esperienza, l’informazione non basta.


Innanzi tutto, nelle nostre esperienze più avanzate, la promozione all’affidamento familiare viene interpretata all’interno dei progetti di sostegno alle famiglie come un’azione trasversale e di sistema. Vale a dire che la cooperativa gestisce diversi servizi di sostegno alle famiglie grazie ad un nucleo di esperti (psicologi, counselor, mediatori dei conflitti familiari, sociologi ecc.). La promozione all’affido familiare si colloca in una riflessione più generale sulle famiglie, sulle vecchie e sulle nuove fragilità, condivisa con l’Ufficio di Piano. La condivisione si estende all’analisi dei bisogni e alle risposte più opportune da mettere in atto. Questo livello lo riteniamo essenziale. L’utilizzo di report trimestrali e gli incontri mensili con l’UdP ci ha permesso di riflettere sulle criticità, sulle risorse per ri-orientare le nostre azioni. Abbiamo riconosciuto, anche in questo contesto, che la sola promozione all’affido familiare (in forme più o meno innovative, attraverso convegni, laboratori sul territorio e nelle scuole, spot, cura di gruppi di famiglie solidali) è inefficace soprattutto se è svincolata da un servizio pubblico che sappia accogliere la domanda, il senso pieno dell’affido che noi andiamo ad alimentare, e sappia accogliere la sfida della cura delle relazioni.
Questa riflessione parte dall’esperienza più ricca e articolata vissuta dalla Coop. Itaca, nell’ambito territoriale di Gioia del Colle (BA), con il Progetto Famiglie Accoglienti.
In questo ambito, la cooperativa Itaca è presente con diversi progetti da circa 8 anni. Famiglie Accoglienti è alla conclusione della sua seconda edizione (quattro anni di servizi alle famiglie assimilabili).
Abbiamo iniziato la seconda progettualità con attività di promozione molto coinvolgenti, che hanno visto un’entusiastica partecipazione sul territorio: feste e laboratori, formazioni sull’affido ecc. Abbiamo prodotto uno spot che ha ottenuto il marchio di Pubblicità Progresso e l’attenzione della Regione Puglia. Un evento di raccolta fondi al quale il pubblico, i media locali e regionali hanno risposto molto bene. Ad un certo punto, abbiamo rilevato un corto circuito tra l’attenzione sull’affido che noi attivavamo e l’assenza di un’operatività piena e consapevole da parte dei servizi che raccogliesse le indicazioni delle linee guida regionali e nazionali sull’affido. Abbiamo ritenuto di dover abbassare l’intensità della promozione, perché le offerte di disponibilità fatte ai servizi cadevano in un attendismo infinito, che ha scoraggiato alcuni. Spesso poi alcune risorse venivano immesse in percorsi emergenziali dagli esiti scontati. Anche l’istituzione dell’Equipe Affido in seno all’ambito richiedeva un tempo e una riflessione che non rispondeva alle emergenze in atto. Abbiamo così lavorato (grazie alla flessibilità e alle diverse competenze interne al progetto) per sostenere una formazione integrata con l’Equipe Affido, immettendola in una rete di realtà locali e nazionali impegnate sull’affido (come Progetto Famiglia); abbiamo contribuito con la stessa metodologia alla stesura del disciplinare. Questa disponibilità da parte dell’Equipe affido a condividere un percorso di formazione e il confronto continuo ci ha permesso di intraprendere un processo di co-costruzione di un linguaggio comune. Siamo passati da un’interpretazione della promozione in senso tradizionale, top-down (spot, segnalibri, laboratori, convegni), alla sfida della cura dei gruppi di famiglie solidali: abbiamo accolto le persone disponibili in circuiti di crescita e di riflessione sull’accoglienza. Nelle prassi territoriali, nel periodo di vacanza dell’EA, c’è stata una fisiologica difficoltà a recepire il nuovo quadro organizzativo nel quale si “muoveva” l’affido familiare. Confusione che spesso è stata trasmessa nelle azioni di affido affrontate o che ha implementato forme di affido ufficiose.
Come coordinamento del Progetto Famiglie Accoglienti si è scelto strategicamente di lavorare con azioni volte alla promozione e al sostegno dell’associazionismo di famiglie solidali. Grazie al Progetto Famiglie Accoglienti nell’ambito di Gioia del Colle, se ne sono costituite 3 (Gioia del Colle, Turi e Casamassima). Sammichele di Bari ha tempi di risposta diversi, ma anche qui, sono state gettate le basi affinché si possa costituire presto un gruppo di famiglie.
Parliamo di gruppi informali che hanno scelto di costituirsi in associazioni che riportano nel proprio statuto finalità proprie dell’accoglienza di minori e delle loro famiglie in difficoltà. Queste associazioni sono composte da famiglie o singoli che nel lungo ciclo dei percorsi formativi offerti dalla coop. Itaca sul territorio dell’Ambito, nel corso delle diverse progettualità, hanno maturato in un tempo di circa 4-5 anni la loro presa in carico di un ruolo. Ritorna qui la dimensione del tempo e della continuità della presenza sui territori: due indicatori chiave per poter attivare buoni processi. Non basta questo. Riteniamo sia tuttora funzionale fornire un sostegno convinto ai gruppi di famiglie, attraverso la formazione (lavoro sul gruppo, lavoro sul sé, sulle motivazioni, sul sostegno alla genitorialità, sulla comunicazione efficace, sulle normative e la letteratura esistente sull’affido familiare; immissione nella rete provinciale, regionale e nazionale di realtà che lavorano sull’affido). Tale lavoro permetterà un approccio all’esperienza dell’affido più consapevole, più comunitario e più integrato con i Servizi Territoriali (evitando la costruzione di un sentiment di solitudine e abbandono comune a gran parte delle esperienze d’affido storiche da parte, indistintamente, degli attori dell’affido: famiglie d’origine o affidatarie, assistenti sociali, educatori ecc.).
Mentre scriviamo abbiamo prodotto il progetto per la terza edizione del bando sullo stesso territorio. Non sappiamo se la coop. Itaca si aggiudicherà il bando.
Abbiamo fatto memoria delle varie esperienze e abbiamo provato a metterle a sistema. Per l’affido abbiamo proposto la costituzione di uno spazio affido all’interno dei CAP, animato assieme alle associazioni di famiglie solidali.
Riteniamo così che il nostro contributo innovativo per la prossima progettualità sarà quello di funzionare come “facilitatori” di buone prassi (secondo la check list offerta dalla Regione Puglia ai Servizi Territoriali per un’auto-valutazione sul processo), offrendo uno spazio dedicato all’affido nei centri famiglia che verranno istituiti, a beneficio di tutti i soggetti a vario titolo interessati al tema (famiglie, operatori, assistenti sociali, ecc.)-

Queste risorse/risultato cambieranno la qualità e la metodologia finora adottata per la promozione dell’affido familiare (quella di tipo per lo più unidirezionale, di informazione della cittadinanza attraverso campagne, laboratori, iniziative).

Oggi il quadro è differente. Si è lavorato tanto e in profondità nei territori ed è possibile attivare un nuovo processo circolare, di riconoscimento e di reciprocità.

Le famiglie sensibilizzate e formate oggi entrano a sostegno del servizio complessivo di promozione sull’affido familiare.
Gli sportelli informativi sull’affido familiare (procedure, numero Equipe Affido, normative ecc.) saranno tenuti dalle associazioni di famiglie solidali costituite grazie al lavoro di formazione, animazione e sostegno di Famiglie Accoglienti. Questo contributo volontario ma qualificato, con un linguaggio omogeneo a quello di FA (Terzo settore più servizi territoriali), permetterà di avere un servizio di qualità nel nuovo ciclo progettuale. Il valore aggiunto al servizio è la testimonianza diretta e la costruzione di una comunità consapevole (gli associati che si interfacciano con il pubblico allo sportello sono persone che fanno esperienze di accoglienza e affido nei territori: offrono così la propria testimonianza, per incontrare disponibilità, per aggiungere un elemento di concretezza e di confronto sulla base dell’esperienza diretta).
Le associazioni di famiglie solidali inoltre animeranno in auto-gestione lo spazio affido (gruppi di auto-mutuo aiuto per famiglie e single affidatari, o aspiranti tali, eventi di promozione dell’affido, momenti conviviali per famiglie e ragazzi ecc.). La presenza e il lavoro delle associazioni permetteranno così una promozione permanente di comunità.
Le associazioni potranno contare sulla formazione integrata che sarà programmata e offerta dal progetto e avranno nei referenti dello spazio affido e degli sportelli una risorsa fondamentale per fare supervisione e ricevere sostegno per la buona riuscita dell’esperienza d’affidamento (premesse necessarie a mantenere alta la qualità del contributo delle associazioni).
Va inoltre sottolineato che questo tipo di investimento è complesso ma permetterà ai territori di avere delle risorse interne competenti e autonome dai servizi, che continueranno a lavorare al di là della durata delle progettazioni.
Un altro aspetto ci interessa sottolineare della proposta avanzata. Noi faremo riferimento alle cosiddette famiglie vulnerabili. Quelle famiglie che non sono storicamente utenti dei Servizi Sociali, ma famiglie travolte dalla crisi economico-sociale (genitori separati lontani dalle famiglie d’appartenenza) e che nonostante le buone risorse genitoriali si trovano in condizioni limite: non riescono più a garantire la protezione e la cura dei propri figli. Lo spazio affido e la promozione sarà orientata prevalentemente a questa comunità di mezzo che ha una sua difficoltà a presentarsi ai servizi sociali e che spesso non trova un luogo che ne accolga le difficoltà e che ne valorizzi le risorse. Riteniamo che in quest’area l’affido possa assolvere al suo compito più alto, permettere al minore di vivere pienamente il suo diritto a vivere nella propria famiglia. Se immettiamo nel territorio buone esperienze d’affido possiamo aumentare le competenze dei vari soggetti e rispondere sempre meglio anche nelle situazioni meno “lineari”.
Un ulteriore elemento di innovazione, per la nostra esperienza, è stata la costruzione di un’iniziativa culturale di rilievo nazionale (in ricordo di Mimmo Bianco, un collega che tanto si è speso per l’affido familiare e che tante storie ha incontrato) di raccolta fondi a favore dell’affido familiare. Costruiremo un appuntamento annuale. I fondi raccolti (oltre ai biglietti, le sponsorizzazioni eventuali da parte di realtà imprenditoriali del territorio) saranno impiegati all’interno dell’Ambito di riferimento, a favore di iniziative sull’affido familiare. Dei finanziamenti aggiuntivi, non pubblici, ci ha permesso di potenziare alcune azioni. In questo caso, abbiamo sostenuto dei progetti formativi coerenti con le abilità, i desideri, i bisogni di minori pre-adolescenti (seguiti dall’educativa domiciliare), per rafforzarne le competenze utili ad intraprendere percorsi di autonomia. I percorsi laboratoriali intrapresi, in via sperimentale in questa edizione, hanno inoltre attivato delle antenne all’interno dei territori: imprese, artigiani ecc. si sono messi a disposizione gratuitamente o a prezzi contenuti per sostenere i percorsi dei ragazzi. Il riconoscimento sociale ottenuto grazie al coinvolgimento di questi attori all’interno dei centri, nello spazio affido, aprirà nuove prospettive d’intervento a favore dei ragazzi, e non solo, soprattutto in direzione di una loro integrazione lavorativa.
I fondi sono stati utilizzati per sperimentare un video-laboratorio, “Film/Families maker” (fare famiglia attraverso la realizzazione di un audiovisivo e viceversa). Attraverso un’occasione di apprendimento alla portata di tutti (perché la cultura dell’immagine, con la sua pervasività, fornisce un oggettivo terreno di aggregazione comune e popolare), le famiglie solidali, le famiglie dell’educativa domiciliare, gli operatori e le loro stesse famiglie hanno costruito tra loro un nuovo statuto relazionale. Una comunità più ampia dove le relazioni si muovono in modo più fluido. La valutazione piena della “sperimentazione” la si potrà tracciare solo alla fine del progetto, ma i primi risultati sono già evidenti: una famiglia dell’educativa domiciliare appartiene a pieno titolo ad un’associazione di famiglie solidali. Frequenta gli incontri settimanali e le occasioni di festa del gruppo. Figli di operatori e figli affidati si sentono, si chiamano e si definiscono “fratelli”.
L’impiego dei fondi sarà concordarlo con l’U.d.P., perché riteniamo sia un modo per crescere tutti assieme nelle responsabilità verso la comunità e per riconoscere all’UdP il suo investimento in iniziative innovative.
Tutto questo lavoro, che potremmo giudicare tra qualche anno in modo più obiettivo, è stato animato da una scommessa sulle relazioni tra gli operatori del Progetto FA. Una profonda condivisione del senso del nostro lavoro.
Abbiamo ancora molto da imparare, ma abbiamo la voglia e il bisogno di metterci in ascolto di pratiche e riflessioni esistenti.

Spunti per la riflessione:


1. Riteniamo che il lavoro di promozione e facilitazione delle relazioni sia essenziale. Riteniamo che sia però pericolosa la deriva che vede la promozione dell’approccio relazionale come mero strumento di riduzione dei costi del welfare. Il lavoro sulla relazione, in un contesto di progressiva desertificazione ed essiccazione delle relazioni, necessita, al contrario, di investimenti.

2. La crisi strutturale e sistemica dei servizi sociali e delle Asl ci chiama in causa. L’affido familiare è un processo delicatissimo e complesso che presuppone l’esistenza di servizi sociali e consultori ben funzionanti. In questi anni assistiamo invece al depotenziamento continuo dei servizi, ad un aumento di personale a tempo determinato, alla chiusura di consultori, all’aumento delle funzioni ecc. Com’è possibile salvare l’idea del buon affido mentre viene smantellato un sistema di servizi territoriali?

Focus Group: Antonella Buttiglione, Silvia D’Antona, Pasqua Demarco, Ferdinando De Muro, Patrizia Goffredo, Angela Lacitignola, Rosanna Santoro, Gianvito Schiavone
Antonella Buttiglione
 
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Re: 3. DIMENSIONE RELAZIONALE DELLA PROMOZIONE DELL’ACCOGLIE

Messaggioda Andreoni Roberto » 02/05/2013, 16:34

3. DIMENSIONE RELAZIONALE DELLA PROMOZIONE DELL’ACCOGLIENZA
A proposito della dimensione relazionale della promozione dell’accoglienza familiare, sono convinto che, per tentare di superare l’evidente “crisi dell’essere con, dell’essere al mondo insieme” (che, per inciso, non mi pare una novità di questo secolo, basta leggere un buon testo di storia dell’educazione per capire – purtroppo - quanta trascuratezza e abbandono vivesse, forse, la gran parte dei minori) occorra una risposta comunitaria, di reciprocità, una risposta che condivida bisogni comuni per accorciare le distanze tra le famiglie. La genitorialità è un bisogno comune che tiene insieme (senza risparmiare le difficoltà di comprensione e di convivenza) ad esempio, in un’esperienza ormai ultradecennale, le famiglie e i singoli aderenti a “La Goccia Onlus” di Macerata.
Ciò che ha aggregato e che continua ad essere oggetto di riflessione e di esperienza, in particolare di alcuni soci, è il bisogno di essere genitore, la concretizzazione del desiderio di cura di un minore.
Certamente vi sono alcune situazioni da “scremare” (chi ricerca di un bambino per sé) che potrebbero considerarsi patologiche. Ma ogni genitore, anche l’ affidatario o l’adottivo, si può pensare che ricerchi un bambino per sé. Come quel bambino che vive in situazioni problematiche si domanda: “Ma di chi sono figlio? Chi avrà cura di me?”, simmetricamente un adulto può chiedersi: “Ma di chi posso essere genitore?”
Lavoro con le famiglie affidatarie da anni in un’ottica di ricerca-azione, di accompagnamento delle esperienze di affido e sono convinto che occorra aiutare/rsi per far incontrare il bisogno di essere genitore col bisogno del minore e della famiglia in difficoltà. Insieme ad altri si può meglio imparare ad essere un genitore sufficientemente buono.
Quindi la dimensione comunitaria della Goccia, sostenuta da continue occasioni per ri-creare e mantenere un tessuto relazionale, attraverso esperienze di animazione culturale (il centro studi), organizzativa (un centro servizi per le famiglie), relazionale (feste per bambini e adulti, incontri di mutuo aiuto, vacanze insieme, ecc.) ha favorito una condivisione di bisogni personali e famigliari e il “coraggio” per tentare una comune risposta pro-sociale, intercettando bisogni condivisi tra adulti e minori.
Andreoni Roberto
 
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Re: 3. DIMENSIONE RELAZIONALE DELLA PROMOZIONE DELL’ACCOGLIE

Messaggioda DONATA MICUCCI » 13/05/2013, 9:00

Vorremmo intervenire sulla pista di riflessione n.3 , punto 3 , con una riflessione sui compiti degli affidatari e il loro ruolo nei rapporti con la scuola, i servizi socio sanitari e con la magistratura minorile.
Com’è noto l’art. 5 comma 1 della legge n.184/1983 e successive modifiche elenca i compiti dell’affidatario nei confronti del minore che vengono così declinati:
1. L’affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli art. del Codice Civile num. 330 (decadenza dalla potestà sui figli) e 333 (condotta del genitore pregiudizievole ai figli che può anche dar luogo a provvedimento del Giudice di allontanamento del minore). Qualora sia stato nominato un Tutore, l'affidatario tiene conto delle sue indicazioni osservando le prescrizioni stabilite dall’Autorità affidante.
2. L’affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con l’istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. Esercitare i poteri connessi con la potestà parentale significa, di fatto, che gli affidatari gestiscono i rapporti con la scuola: firma del diario, giustificazione delle assenze, autorizzazioni alle uscite, colloqui con gli insegnanti, elettorato attivo e passivo negli organi rappresentativi della scuola. Rispetto alla confessione religiosa gli affidatari devono rispettare la scelta fatta dalla famiglia d’origine del bambino e comunque non possono effettuare scelte autonome nei confronti del minore affidato (ad es. per i cattolici per quanto riguarda il battesimo, la comunione o la cresima dell’affidato). Poteri analoghi hanno gli affidatari per i rapporti con le autorità sanitarie; non occorrerà il consenso del genitore o del tutore per le vaccinazioni obbligatorie e per gli interventi sanitari d’urgenza. Solo nell’eventualità di situazioni che esulino dall’ordinario e presentino un qualche rischio per l’affidato può essere necessario il consenso dell’esercente la potestà o del tutore.
3. L’affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità prima di prendere provvedimenti relativi al minore affidato (su questo punto vedasi anche quanto proposto sulla pista di riflessione sulle competenze degli Enti locali) .
Come già affermato nel 2009 nel 2° Rapporto supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, curato dal Gruppo CRC, coordinato da Save the Children e sottoscritto da oltre 80 organizzazioni operanti nel settore gli affidatari sono ” soggetti attivi e volontari che hanno un ruolo centrale e dovrebbero essere preparati, valutati e supportati nel loro operato, ma anche ascoltati dagli operatori e dai giudici minorili prima di prendere decisioni significative perché è con loro che vive il minore affidato” .per raggiungere questi obiettivi e per
migliorare l’integrazione tra interventi e l’approccio di rete è fondamentale un maggior riconoscimento e valorizzazione da parte delle Istituzioni del ruolo dell’associazionismo tra famiglie che accolgono”.
Concludendo, contrariamente a quanto alcuni possono pensare, gli affidatari iniziano il percorso dell’affidamento con un atteggiamento fiducioso e collaborativo verso gli operatori dei servizi sociali e sanitari: sta agli operatori stessi confermare – coi fatti – la loro credibilità ed “affidabilità” nel corso dell’affidamento e nel momento, molto delicato, della sua conclusione. Quando questo non avviene, gli affidamenti si trasformano in “affibbiamenti” con tutte le conseguenze negative che ne derivano e che possono portare alla interruzione dell’affido stesso. Per raggiungere questi obiettivi e per migliorare l’integrazione tra interventi e l’approccio di rete1 è fondamentale un maggior riconoscimento e valorizzazione da parte delle Istituzioni del ruolo dell’associazionismo tra famiglie che accolgono.
DONATA MICUCCI
 
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Iscritto il: 18/03/2013, 12:42
Località: Presidente nazionale ANFAA - Associazione Naz. Famiglie Adottive e Affidatarie


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