4. PROMOZIONE DELL’AFFIDO E EMPOWERMENT COMUNITARIO

La crisi relazionale post-moderna e la dimensione comunitaria del lavoro sociale e del volontariato; la promozione della solidarietà familiare, il radicamento territoriale e la condivisione dei bisogni; il lavoro di rete formale e informale: visione olistica e approccio ecologico; i tessitori naturali delle reti; la supervisione “esperta” delle reti.

ESPERTI COINVOLTI: Alfonso Pepe, Associazione Progetto Famiglia Avellino; Luigi e Anna Piccoli, Ass. Il Noce di Casarsa della Delizia (PN); Elisabetta Giuliani, Servizio Affidi della Provincia di Roma; Giorgio Marcello, Dipartimento di Sociologia dell’Università di Cosenza; Giancarlo Cursi, Pontificio Ateneo Salesiano di Roma; Nicoletta Goso, Movimento Famiglie affidatarie e solidali, Roma; Antonella Pontillo, Associazione Progetto Famiglia Benevento; ...

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4. PROMOZIONE DELL’AFFIDO E EMPOWERMENT COMUNITARIO

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 08/03/2013, 21:56

Proseguendo nella riflessione, dobbiamo rilevare che anche in quei contesti dove i servizi affidi e le associazioni familiari riescono a raggiungere adeguati livelli di affidabilità, il numero delle famiglie che si aprono all’affidamento familiare resta assai insufficiente se paragonato al bisogno di accoglienza e vicinanza che emerge dai tanti minori e dalle tante famiglie in difficoltà. Probabilmente quello che occorre è un cambio di paradigma, nel senso che, verosimilmente, è insufficiente proprio l’idea di reperire famiglie già disponibili all’affido. È fuorviante il pensiero di poter trovare numerose famiglie già pronte (salvo il doverle perfezionare con qualche colloquio o qualche incontro di formazione) nelle motivazioni all’accoglienza familiare.
L’esperienza dimostra che di famiglie così ve ne sono sempre meno. Per comprendere cos’è che non va, quale nuova lente va adottata, è utile allargare brevemente lo sguardo all’intero panorama del volontariato (non solo familiare) ed alla crisi profonda che lo attraversa da oltre un decennio.
Tra i campanelli di allarme, evidenziati già nel Rapporto sul volontariato del 2005, emerge con evidenza un processo di progressiva frammentazione ed indebolimento di questo mondo. I fenomeni più rilevanti sono la polverizzazione delle associazioni (sempre più piccole, sempre più scollegate) e l’attenuarsi del principio di gratuità (ricorso sempre più frequente a rimborsi spese forfettari, aumento del personale remunerato, tendenza alla professionalizzazione dei volontari, …) (1). Riteniamo che vi sia uno stretto nesso causale tra la rarefazione delle relazioni - nelle associazioni e tra le associazioni – e la diminuzione del senso del gratuito, della disponibilità al dono. L’esito è un aumento dell’attenzione alla risposta ai bisogni propri (economico-occupazionali e di autonomia) più che a quelli degli altri. Sinteticamente, quanto sopra esposto, è racchiudibile nell’equazione “+ solitudine” = “- gratuità” o, meglio ancora, “- relazionalità” = “- disponibilità volontaria”. È proprio da questa coscienza, relativa all’effetto depotenziante che lo sbriciolamento della società esercita sulla capacità solidale delle persone, che bisogna partire per mettere a fuoco la strada per un rilancio della cultura e della prassi del volontariato e dell’accoglienza familiare. L’esperienza e le riflessioni su questo tema, condivise negli ultimi anni specialmente in seno al confronto tra reti familiari (2), ci portano ad affermare che la pista da seguire si fonda su un approccio comunitario. Il postulato è che: “l’apertura delle famiglie all’accoglienza (e in generale alla solidarietà) è il risultato di una pregressa e significativa relazione comunitaria”.
In quest’ottica, prima ancora di cercare famiglie disposte a fare le affidatarie, occorre promuovere famiglie disposte ad essere comunitarie.
Accanto all'opera di reperimento delle sempre meno numerose ed improbabili famiglie “già pronte” al volontariato ed all’accoglienza occorre, in una prospettiva di capacitazione della comunità (3), proporre ad un ampio numero di famiglie di dedicare tempo ed energie allo stare insieme comunitario e solidale. Applicando queste considerazioni al quesito da cui siamo partiti (cioè come reperire più famiglie disponibili all’affido, applicazione specifica della più ampia questione del rilancio del volontariato e della solidarietà familiare) quali indicazioni possiamo trarne?
Ebbene, dire approccio comunitario e famiglia comunitaria non significa semplicemente insistere sulla dimensione della RESPONSABILITÀ, sollecitando le famiglie a reinvestire tempo ed energie nell’impegno solidale coordinandosi maggiormente, programmando azioni comuni, sviluppando strategie condivise. Non significa neanche soltanto assicurare adeguati spazi di RIFLESSIVITÀ, mediante incontri periodici per approfondire le ragioni e le finalità dell’impegno, per riflettere insieme sulle esperienze, per raccontarsi i vissuti in corso, con le modalità dell’auto-formazione, dei gruppi di confronto e condivisione, dei gruppi di mutuo aiuto condotto da un esperto, etc. In un siffatto scenario, tutto resterebbe ancorato all'insostenibile primato (logico e cronologico) della pregressa disponibilità delle famiglie al volontariato. Certo, per fare meglio il volontariato, bisogna farlo e pensarlo insieme. Si tratta di uno slogan condivisibile nel suo senso etico-sociale ma che non risponde al problema della progressiva riduzione delle famiglie capaci/disponibili a tale impegno. Sarebbe come dire ad una persona debilitata: «fatti forza!». Bisogna capire fino in fondo che la dimensione comunitaria è realmente operativa, è pienamente vissuta, se passa anche (e innanzitutto) attraverso la CONDIVISIONE dei propri bisogni personali e familiari. Non si devono cercare fantomatiche famiglie che, dopo aver risolto tutti i propri problemi hanno ancora voglia ed energia di dedicarsi agli altri; bensì famiglie disponibili a costruire con gli altri la soluzione ai bisogni comuni, a partire da quelli pratici e più immediatamente condivisibili, connessi all’organizzazione del menage quotidiano (accompagnamento dei figli a scuola e alle altre attività, fronteggiamento di piccoli imprevisti e difficoltà, …). Così come un tempo le famiglie che abitavano lo stesso caseggiato condividevano naturalmente la cura dei figli ed in questo si contagiavano con i modelli relazionali ed educativi altrui, oggi vivere la dimensione di famiglie comunitarie significa entrare nell’esperienza quotidiana dell’altro, essere disposti a contaminarsi reciprocamente. Non rievocando anacronistici ritorni alla solidarietà meccanica del passato (segnata da dinamiche di controllo e pressione sociale oggi improponibili) bensì promuovendo lo sviluppo di una solidarietà riflessiva, consapevolmente e liberamente scelta. Se prima, tutto ciò, avveniva spontaneamente, come espressione di un’appartenenza e di un radicamento territoriale, sociale e culturale, oggi si tratta di ri-radicarsi nella micro-realtà sociale nella quale viviamo per costruire quella dimensione di reciprocità, che nella risposta condivisa ai bisogni comuni accorcia le distanze tra famiglie. Possiamo affermare che la capacità di essere famiglia accogliente/solidale/comunitaria dipende in buona sostanza dal modo (individuale o comunitario) con cui si dà risposta alle proprie esigenze quotidiane. Per dirla con Giancarlo Cursi: «il fondamento di una famiglia “risorsa” è nello stile di risposta al proprio “bisogno”».

(1) Frisanco R. (2006), Un fenomeno con tanti “più” e qualche “campanello d’allarme”, in Rapporto biennale sul volontariato in Italia, Osservatorio Nazionale per il Volontariato, Roma.
(2) Assai significativi, in tal senso, i Campi Scuola della rete sociale “Bambini, Ragazzi e Famiglie al Sud” (http://www.bambinieragazzialsud.it) che da oltre 15 anni coinvolgono centinaia di famiglie e minori, di diverse associazioni familiari.
(3) Twelvetrees A. (2002), Community works, Palgrave (traduzione in Italiano: 2006, Il lavoro sociale di comunità. Come costruire progetti partecipati, Erickson, Trento).

SPUNTI PER IL CONFRONTO
Quanto la “dimensione comunitaria” incide sull’efficacia della promozione dell’accoglienza familiare?
Quali sono gli “ingredienti” da mettere in campo per promuovere l’empowerment delle reti comunitarie tra famiglie? Quali le “buone pratiche” e le “esperienze” da prendere a riferimento?
Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
 
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Re: 4. PROMOZIONE DELL’AFFIDO E EMPOWERMENT COMUNITARIO

Messaggioda LUIGI PICCOLI » 23/04/2013, 15:40

Spesso vediamo famiglie e singoli che "si attivano" sentendo parlare di minori in difficoltà famigliare che hanno bisogno di essere accolti in affido e subito dopo vediamo spegnersi questa attivazione perchè l'esperienza sembra troppo difficile e complessa: si sfiduciano rispetto la propria idoneità (magari sanno che vivono le loro fatiche nelle proprie relazioni genitoriali educative, o pensano che bisogna avere particolari capacità "altre" per accogliere un minore..); si spaventano rispetto alle molte relazioni istituzionali che l'affido comporta (incontri con i servizi, incontri con la famiglia d'origine, con la scuola, con i servizi sanitari specialistici, con il TM); sanno che un "fallimento" sarebbe molto doloroso e distruttivo in primis per il minore, ma se hanno dei figli propri sono anche spaventati dalle ripercussioni su di loro. "Pensieri pesanti", che a volte non fanno mai partire l'esperienza di affido e rendono di fatto impossibile a priori per queste famiglie capire se possono o meno alleggerirsi, nella realtà. D’altronde, se sono così presenti nella loro percezione dell'affido, questi pensieri hanno una loro ragion d’essere e non si possono sottovalutare, in un percorso di coinvolgimento e attivazione delle famiglie. Secondo la nostra esperienza come Associazione, per promuovere l'affido bisogna innanzitutto promuovere buone esperienze di affido, far vedere che è un'esperienza che si può vivere e vivere bene, senza farsi del male e imparando qualcosa di sé e degli altri anche attraverso le difficoltà che si possono incontrare. Nella ns. rete di famiglie affidatarie, siamo tutti consapevoli che la miglior pubblicità all'affido viene fatta soprattutto dal "passaparola": famiglie vicine che vedono altre famiglie vivere esperienze positive, realizzano che "SI PUO' FARE".
Ciò nonostante, le famiglie che si rendono disponibili sono sempre insufficienti, rispetto al bisogno del territorio.
SPUNTI PER IL CONFRONTO
Per contribuire a realizzare un empowerment comunitario e una maggiore partecipazione delle famiglie nella vicinanza e nell’accompagnamento alle situazioni di difficoltà di minori e famiglie, forse dobbiamo soffermarci e ribadire/tenere in considerazione alcuni punti:
- non ci sono famiglie "perfette": tutti possiamo avere delle risorse e tutti possiamo avere delle difficoltà. E' nella capacità di superare queste difficoltà che si può leggere la possibilità di reggere lo scossone del nuovo inserimento e l'assestamento di un nuovo equilibrio, e quindi la potenzialità di questa famiglia;
- aprirsi all’accoglienza è anche “dare per ricevere”: non è prerogativa dell’ “appagamento e dello stare bene e in equilibrio in famiglia”; è una dimensione che parte sempre in un certo qual modo da una situazione di “crisi personale/familiare” (dove al termine crisi non diamo solo l'accezione negativa), un desiderio di apportare un cambiamento, fare un’esperienza valoriale concreta e profonda, riorganizzare le proprie risorse interne;
- i servizi spesso si euforizzano all'incontro con una nuova famiglia affidataria: è buona, è brava, sa rispondere a tutte le aspettative...ma poi provano un senso di delusione davanti alla difficoltà della famiglia di trovare il nuovo equilibrio, di reggere alle provocazioni mai conosciute prima...e' come se i servizi stessi pensassero all''esistenza della "famiglia perfetta";
- la rete comunitaria è la prima palestra dove osservare e allenarsi all'accoglienza, di sè in primis, con i propri limiti e le proprie risorse; ma anche delle famiglie d'origine, nel comprendere e non giudicare le difficoltà degli altri, ma sentendosi affianco a loro come risorse. Ai nostri giorni, anche la crisi economica e valoriale presente potrebbe contribuire a diffondere questa esperienza; la crisi ci richiama all’essenzialità, alla condivisione, al sostegno reciproco, dimostrandoci concretamente che “nessun uomo è un isola”;
- la rete delle famiglie affidatarie diventa il luogo privilegiato dove sentirsi "normali" nei propri momenti di difficoltà, non solo come affidatari, ma prima di tutto come persone: è normale non avere subito e tutte le risposte a interrogativi spesso impensabili prima dell'accoglienza, ma sapere che si può contare sull'aiuto di altre persone che non ti giudicano e ti sostengono, chiede di fare agli affidatari l'esperienza di affidarsi a loro volta.
Se nelle ns. comunità riusciamo a sviluppare occasioni concrete di vicinanza tra le persone, l'esperienza di potersi fidare dell'aiuto dell'altro diventa condivisa e sono queste le realtà più generose, anche in termini numerici, di famiglie affidatarie. Certo, perché le proposte siano efficaci, è necessario conoscere le proprie realtà, capirne le sensibilità e i punti di forza nell’attivare le proposte stesse.
LUIGI PICCOLI
 
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Re: 4. PROMOZIONE DELL’AFFIDO E EMPOWERMENT COMUNITARIO

Messaggioda Nunzia La Mura » 10/05/2013, 17:03

È davvero fuorviante pensare che vi siano famiglie già pronte all’affido e che basti solo trovarle. In realtà esistono famiglie aperte all’incontro con l’altro, con altre realtà, che si lasciano coinvolgere da esperienze, che sono pronte a mettersi in relazione con altre famiglie. Il compito di noi operatori è favorire l’incontro tra famiglie, tra esperienze diverse, incuriosire ed appassionare chi ci circonda. Bisogna incontrarsi, per creare delle famiglie allargate. La nostra esperienza del centro per le famiglie è fatta di incontri tra famiglie affidanti e famiglie affidatarie, tra famiglie interessate all’accoglienza e famiglie e bambini da accogliere del territorio o delle case famiglia, tra famiglie che praticano l’affido e famiglie che vogliono avvicinarsi all’accoglienza, tra le famiglie di noi operatori e le famiglie che frequentano il centro. Tra bambini del quartiere, i bambini delle nostre case famiglia e i figli di noi operatori, tanto che oggi A., bambina del quartiere che aspetta una famiglia affidataria, ci chiede come regalo della sua prima comunione di poter festeggiare con tutti noi del centro, che insieme a lei formiamo una famiglia allargata.
L’essere per i bambini del territorio e le loro famiglie un punto di riferimento, uno spazio dove trovare relazioni di cura, di condivisione di bisogni, di difficoltà e di gioie quotidiane, dove lo spazio con i suoi contenuti viene pensato in base ai bisogni di chi li frequenta, e non di progetti con obiettivi da rispettare e raggiungere in poco tempo, tutto questo fa di un centro per le famiglie un osservatorio privilegiato nella rilevazione dei bisogni del territorio. Tessere relazioni con le realtà istituzionali e non del territorio, connettere competenze, disponibilità, pensieri, lavorare per l’integrazione delle risorse, in una parola….favorire l’incontro tra persone, favorisce il processo di solidarietà e di condivisione dei bisogni.
Nunzia La Mura
 
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