Pagina 1 di 1

2. LA NON ESIGIBILITÀ DEL DIRITTO A CRESCERE IN FAMIGLIA

MessaggioInviato: 08/03/2013, 21:19
da Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
La riforma del Titolo V della Parte Seconda della Costituzione Italiana (Legge Costituzionale 3/2001) nel trasferire alle Regioni la competenza legislativa in materia di politiche socio-assistenziali ha attribuito allo Stato centrale il compito di “determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. L’intento del legislatore costituzionale è quindi quello che in materia di tutela civile e sociale venga fissata una soglia minima al di sotto della quale non sia possibile andare e che tale soglia sia la medesima per tutte le regioni. Questa intenzionalità a tutt’oggi non trova adeguato recepimento nell’ordinamento giuridico nazionale in quanto tali livelli essenziali non sono stati fissati. Nel campo specifico dell’affidamento familiare tutto ciò si intreccia infaustamente con le indicazioni contenute nella legge 184/83 e ss. mm. che limita alle risorse finanziarie disponibili il sostegno ai nuclei familiari a rischio (art. 1, comma 3), alle famiglie affidatarie (art. 5, comma 4), alle adozioni difficili (art. 6, comma 8). Poiché nulla vincola lo Stato, le Regioni e gli Enti locali circa l’entità minima delle risorse da appostare in bilancio su tali voci, in tempi di crisi finanziaria alcuni potrebbero “legittimamente” azzerare gli interventi di tutela del diritto dei bambini e dei ragazzi a crescere in famiglia. Per completezza va detto che, a partire dai nuovi scenari offerti dai decreti legislativi sul Federalismo municipale e regionale (Decreti legislativi 216/2010 e 68/2011) le Regioni, in stretta condivisione con le Autonomie locali, e al fine di costruire una base omogenea nazionale in materia di diritti civili, si sono incamminate lungo la strada della definizione di alcuni Macro-Obiettivi (cd. obiettivi di servizio) di politica sociale. Tuttavia la grave riduzione dei trasferimenti statali (ridotti di oltre il 95% nel settennio 2007-2013), l’insufficiente impiego di risorse regionali e comunali (molto più attente a temi come l’urbanistica, il turismo, …), creano uno scenario in cui il “diritto alla famiglia” appare notevolmente sbiadito in quanto gli amministratori restano liberi di appostare i fondi su altre “più importanti” voci di spesa. La mancanza di un dovere specifico in capo alla pubblica amministrazione riduce, nei fatti, il diritto dei minori a crescere in famiglia ad un mero interesse, in continua competizione con altri innumerevoli interessi in gioco.

SPUNTI PER IL CONFRONTO
Tenendo in conto la fase di crisi economico-finanziaria attraversata dal Paese, quali sono – in un’ottica di graduale allargamento – i livelli essenziali nazionali delle prestazioni che per primi andrebbero fissati nel campo della tutela del diritto dei minori alla famiglia?
Quale cammino tecnico e politico andrebbe realizzato per avviare questo processo di definizione?