L’impianto complessivo della legge 184/83, ed in particolare le modifiche introdotte nel 2001 dalla legge 149, concepiscono l’affidamento familiare innanzitutto come un intervento di prevenzione del disagio minorile e familiare, basato sul consenso dei genitori, e “solo in seconda battuta” come un intervento coercitivo messo in atto dal Tribunale per i minorenni.
Di segno contrario appaiono invece i dati messi in evidenza dalle “prime risultanze” della recente indagine del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (diffusi nel novembre 2012) i quali presentano la tendenza a realizzare gli interventi di accoglienza con una modalità tardo-riparativa, limitata a “tamponare” le situazioni di grave crisi familiare e a “mettere in sicurezza” i bambini mediante provvedimenti d’urgenza (nel 26%, con punto oltre il 35% in alcune Regioni). I dati mettono in evidenza anche la marcata incidenza degli affidamenti giudiziali (69% del totale, che diventa il 79% se analizziamo i soli affidamenti etero-familiari), disposti in via coatta dai Tribunali per i minorenni, segno della forte difficoltà a lavorare sul “consenso” dei genitori in difficoltà.
Ne consegue che l’affidamento familiare acquisisce caratteristiche:
- specialistico-terapeutiche: sia perché l’importanza del disagio (o addirittura del danno) subito dal minore spesso è tale da richiedere intensi interventi da parte di professionisti esperti, sia perché la stessa famiglia affidataria, non potendo nel più dei casi investire sul rapporto con la famiglia naturale (in quanto questa è contraria all’affido), finisce con il perdere di vista il contesto comunitario di origine del minore e con il diventare una sorta di “specialista dell’accoglienza dei bambini”;
- legal-burocratiche: la presenza di disposizioni giudiziali cui attenersi, la non rara contrazione della potestà genitoriale, il bisogno di valutare il tenore e gli esiti del percorso di recupero dei familiari del bambino, la frequente ostilità verso l’affido che si sviluppa nella famiglia di origine, accentuano inevitabilmente la funzione di vigilanza svolta dagli operatori, in un meccanismo che finisce con l’avere caratteristiche più di controllo-verifica che di promozione-sostegno (e nel quale anche affidatari e associazioni familiari finiscono in un ruolo distorto, che oscilla tra l’essere co-controllati dai servizi e il porsi come co-controllori della famiglia naturale);
A queste condizioni l’affidamento familiare è destinato a non svilupparsi affatto. L’esperienza di trent’anni anni di affidamento familiare in Italia ci dice che, se poche sono le famiglie disponibili a impegnarsi in un percorso di affidamento giudiziale, addirittura rare sono quelle disposte a continuare a farlo dopo la prima (spesso estenuante) esperienza.
[b]SPUNTI PER IL CONFRONTO [/b]
A quali cause imputare lo scarso ricorso ad affidamenti consensuali? E l’altrettanto scarso sostegno preventivo alla genitorialità?
Perché spesso l’intervento sociale è solo successivo alla decisione del giudice minorile?
Perché una quota importante degli interventi sociali è d’urgenza (ex art. 403 del codice civile)?