3. LA PETIZIONE AI PRESIDENTI DELLE “REGIONI FUORI FAMIGLIA"

Un bilancio a trent’anni dalla legge 184/83: trend nazionale e differenze regionali; la non esigibilità del diritto a crescere in famiglia tra livelli essenziali e prestazioni standard; la petizione popolare ai presidenti delle “regioni fuori famiglia”; verso uno schema di proposta di legge regionale per la tutela del diritto alla famiglia.

ESPERTI COINVOLTI: Gennaro Izzo, Piano di Zona N13 – Penis. Sorrentina (NA); Rosy Paparella, Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Puglia; Frida Tonizzo, ANFAA - Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie; Stefano Ricci, Area Integrazione socio-sanitaria Regione Marche; Piero Fantozzi, Dipartimento di Sociologia dell’Università di Cosenza; Luca Degani, docente di diritto minorile nella facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica di Milano; ...

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3. LA PETIZIONE AI PRESIDENTI DELLE “REGIONI FUORI FAMIGLIA"

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 08/03/2013, 21:14

Sull’onda positiva dell’approvazione delle Linee di Indirizzo nazionali per l’affidamento familiare , nel febbraio 2013 un gruppo di organizzazioni no profit ha lanciato una Petizione Popolare (http://www.dirittoallafamiglia.it) alle Regioni d’Italia - per il tramite della Conferenza permanente delle Regioni e delle Province Autonome - e con speciale intensità alle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia, Abruzzo e Molise, di recepire sette urgenti misure (1).
Se ne riportano i contenuti:
1) Sancire il diritto a crescere in famiglia. Sancire solennemente il diritto a crescere in famiglia, mediante un’integrazione degli Statuti Regionali;
2) Assicurare l’esigibilità del diritto a crescere in famiglia. Introdurre forme di contrasto della disapplicazione della legislazione sul diritto alla famiglia da parte dei comuni (meccanismi di premialità e penalità, esercizio della funzione sostitutiva da parte della Regione, …). Fissare con leggi regionali un nucleo di standard obbligatori, qualitativi e quantitativi, dei servizi che i comuni, singoli o associati, dovranno attivare al fine di prevenire e superare le situazioni che impediscono la piena fruizione del diritto dei minori a crescere in famiglia. Garantire lo stanziamento di risorse finanziarie in misura sufficiente ad assicurare il rispetto dei suddetti standard in tutto il territorio regionale, prevedendo – ove necessario – fondi mirati alla tutela del diritto dei minori a crescere in una famiglia.
3) Assicurare un assetto adeguato dei servizi per la famiglia e l’infanzia, tra cui i servizi per l’affido, e riconoscere il ruolo delle associazioni familiari.
Assicurare: a) l’istituzione, in tutti i territori, dei servizi sociali di tutela per i minori e le famiglie e, tra questi, dei servizi per l’affido, dotati di sufficiente e stabile personale; b) riconoscere il ruolo di utilità sociale dell’associazionismo e delle reti tra famiglie affidatarie nella promozione del bene comune, e valorizzare la loro funzione, per migliorare l’integrazione degli interventi e l’approccio di rete all’affidamento familiare; c) promuovere il miglioramento continuo della qualità degli interventi mediante percorsi di formazione per gli operatori, aperti anche alle associazioni e reti di famiglie affidatarie; d) istituire tavoli di lavoro che favoriscano la condivisione delle modalità di intervento, superando approcci impropri e confusioni, e portando alla definizione e all’attuazione di protocolli operativi di rete.
4) Promuovere l’affidamento familiare. Rilanciare a tutti i livelli, istituzionali e non, la promozione dell’affidamento familiare, inteso come strumento che integra, senza sostituire, il ruolo delle figure genitoriali, assicurando ai minori adeguate cure, mantenimento, istruzione e relazioni affettive.
5) Attivare sostegni mirati alle famiglie in crisi, agli affidamenti familiari e alle adozioni difficili. Assicurare: a) l’adozione di misure di sostegno ai nuclei familiari a rischio, fornendo loro i supporti economico-sociali, le cure e le prestazioni di cui necessitano al fine di prevenire gli allontanamenti dei figli; b) forme adeguate di preparazione, sostegno ed accompagnamento dei minori, delle famiglie d’origine e delle famiglie affidatarie; c) l’erogazione agli affidatari, compresi i casi di affidamenti a parenti, di un contributo spese adeguato alle esigenze dei minori accolti in affido e l’attivazione di una copertura assicurativa per i danni subiti o causati dai minori stessi; d) la previsione, per gli affidati diventati maggiorenni, di sostegni economici e di percorsi di accompagnamento verso l’autonomia, e, qualora continuino a vivere con gli affidatari, il prosieguo dei contributi spesa a questi ultimi; e) la previsione di forme di sostegno economico dell’attività di accompagnamento delle famiglie svolta dalle reti e dalle associazioni familiari; f) l’erogazione, ai genitori di minori italiani e stranieri adottati di età superiore a dodici anni e a quelli con handicap accertato, di un contributo economico, indipendentemente dal loro reddito, pari al rimborso spese corrisposto agli affidatari, fino al raggiungimento della maggiore età dell’adottato.
[b]6) Monitorare i minori “fuori famiglia”[/b]. Assicurare rilevazioni ed analisi aggiornate e puntuali sugli aspetti quantitativi e qualitativi del fenomeno dei minori fuori famiglia.
7) Definire standard minimi nazionali delle comunità per minori. Attivarsi affinché in seno alla Conferenza Stato-Regioni vengano definiti gli standard minimi per le diverse tipologie di comunità per minori da applicare in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.

(1) Le prime sei misure di tutela proposte dalla Petizione sono quelle ritenute prioritarie dal Tavolo Nazionale Affido e sono più ampiamente illustrate nel documento “Misure regionali di tutela del diritto dei minori a crescere in famiglia” del 21 dicembre 2012, scaricabile dalla pagina web tavolonazionaleaffido.it/documenti.html, ad eccezione del punto 5.f tratto dalla Delibera di Giunta della Regione Piemonte n. 79-11035 del 17.11.2003. La settima misura è tratta dal già citato documento del Tavolo “Riflessione sulla situazione dei minori …” (cfr. nota 3) e si basa sulla convinzione che un adeguato sistema di tutela del diritto dei minori alla famiglia comprende che tra le possibili risposte a favore del minorenne e della sua famiglia d’origine in difficoltà possano essere valorizzate le comunità residenziali, laddove il progetto specifico lo richieda.
(2)

SPUNTI PER IL CONFRONTO
Quali considerazioni è opportuno fare a conferma, approfondimento o modifica delle sette misure proposte dalla Petizione Popolare per la tutela del diritto alla famiglia?
Quali ulteriori misure le Regioni dovrebbero adottare per garantire più compiutamente questo diritto?
Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
 
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Re: 3. LA PETIZIONE AI PRESIDENTI DELLE “REGIONI FUORI FAMIG

Messaggioda DONATA MICUCCI » 13/05/2013, 9:02

Vorremmo soffermarci sul necessario sostegno delle adozioni “difficili”, contenuto nella Petizione popolare condivisa anche dall’Anfaa.
E’ difficile che una coppia che si accosta all’adozione pensi spontaneamente a un bambino “diverso”; di fronte a lui si sente investita da una responsabilità e da un impegno molto grandi. A volte gli operatori stessi, convinti a priori della difficoltà di trovare famiglie disponibili anche per questi bambini, spesso non le cercano e si arrendono con molta facilità, fanno poco e non fanno nulla per sensibilizzare l’opinione pubblica a questo problema, per attivare iniziative di reperimento e preparazione di famiglie e soprattutto per richiamare le istituzioni alle loro responsabilità .
A volte si corre il rischio di pensare che per questi bambini, soprattutto per quelli con gravissimi handicap intellettivi o fisici , sia sufficiente offrire loro adeguate cure sanitarie ed assistenziali. Ma proprio per questi bambini è ancor più determinante il poter contare su quel legame sicuro e stabile e quel clima di affetto e di attenzioni individualizzate che solo in una famiglia può trovare Senza questa sicurezza affettiva, il bambino si lascia andare sempre più, non reagisce, quasi si rifiuta di crescere perché non può sperimentare una relazione d’affetto stabile con una persona per cui si sente un valore - importante ed “unico” .
Non sempre, però la storia di questi bambini si conclude allo stesso modo: per alcuni di loro avviene l’incontro con famiglie che si sono lasciate coinvolgere. Indubbiamente l’adozione di questi bambini non può avere luogo con le stesse procedure che si seguono per gli altri.
Per una decisione di questo genere non basta una motivazione che scaturisca da una scelta “ dalla parte degli ultimi” e/o di impegno civile: è necessario che scatti un coinvolgimento interiore che permetta di vedere al di là della “diversità”.
È spesso un incontro a determinare la scelta: una famiglia viene a conoscenza, attraverso i canali più diversi, della storia di un bambino e si lascia interrogare. Così può iniziare un’esperienza, un cammino certamente faticoso, ma che può dare la gioia di vivere a un bambino al di là della sue oggettive menomazioni e molta ricchezza alla famiglia che lo ha accolto.
Non si può però pensare che l’adozione di un bambino “diverso” possa riuscire confidando solo sulla disponibilità della famiglia: è indispensabile poter contare su una rete di rapporti umani e sociali intorno ad essa che arricchisca la vita del nucleo familiare e ne impedisca l’isolamento.
Sul versante istituzionale va ricordato che la Banca dati prevista dall’articolo 40 della legge 149/2001, non è ancora operativa a distanza di oltre dieci anni (doveva essere attivata entro il dicembre 2001!!): essa sarebbe utile per poter conoscere le situazioni dei minori dichiarati adottabili e non adottati e per assumere le necessarie iniziative per la ricerca della famiglia. L’Istat poi non fornisce i dati relativi all’età e alle condizioni psico-fisiche dei minori adottabili e di quelli adottati in Italia: si limita a riportare, sovente con ritardo, solo i numeri complessivi, ripartiti per Tribunale, distinguendo solo quelli
con genitori “noti” da quelli con genitori” ignoti” 1.
Il comma 8 dell’’art. 6 della legge 149/2001 recita: «Nel caso di adozione dei minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992 n.104, lo Stato, le Regioni e gli enti locali possono intervenire nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, con specifiche misure di carattere economico, eventualmente anche mediante misure di sostegno alla formazione e all’inserimento sociale, fino all’età di diciotto anni degli adottati» e quindi purtroppo non impegna le istituzioni a fornire gli aiuti previsti in quanto gli stessi sono subordinati alle «disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci».
Per attuare quanto previsto dall’articolo sopra citato, la proposta già avanzata alla Conferenza nazionale della famiglia del novembre 2010 a Milano da un gruppo di associazioni è che “gli Enti gestori degli interventi assistenziali corrispondano ai genitori di minori italiani e stranieri adottati dall’età di 12 anni in poi (quest’età potrebbe essere anche abbassata ….) e a quelli con handicap accertato un contributo economico, indipendentemente dal loro reddito, almeno pari al rimborso spese corrisposto agli affidatari, fino al raggiungimento della maggiore età dell’adottato.
Le Regioni dovrebbero inoltre prevedere, nella delibera o legge che assumeranno al riguardo, che le provvidenze di cui sopra siano estese anche ai genitori adottivi dei minori, di qualunque età, che – per la gravità delle loro condizioni (gravi malattie o abusi e violenze subite) – necessitino di specifici supporti”. Le Associazioni precisano inoltre che “se queste richieste verranno accolte si creeranno condizioni migliori per favorire le adozioni dei bambini grandicelli o portatori di handicap. Il futuro di tanti bambini soli dipende anche dai sostegni che le Istituzioni saranno in grado di assicurare alle famiglie che li accoglieranno".
La Regione Piemonte è l’unica che finora abbia assunto provvedimenti per rendere operative queste disposizioni2, erogando attraverso gli Enti gestori degli interventi assistenziali, un contributo spese equiparato a quello per l’affidamento familiare a favore dei genitori adottivi di minori sopra i 12 anni o con handicap accertato, sino alla maggiore età: nel 2012 erano un centinaio i minori seguiti.

Per sostenere le ”adozioni difficili” l’Anfaa propone anche ai Tribunali per i minorenni di precisare nelle sentenze relative all’adozione dei minori italiani e stranieri ultradodicenni o con handicap accertato che agli adottanti sono estese le provvidenze previste dall’art. 6 della legge n.184/1983 e s.m. e indicare i servizi sociali incaricati di supportare il nucleo adottivo (analogamente a quanto previsto per l’affidamento dalla legge n. 184/1983 e s.m.): questo monitoraggio consentirebbe di supportare il nucleo adottivo in un’ottica preventiva.
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Re: 3. LA PETIZIONE AI PRESIDENTI DELLE “REGIONI FUORI FAMIG

Messaggioda DONATA MICUCCI » 13/05/2013, 9:15

Vorremmo intervenire sulla pista di riflessione n.4 con alcune proposte relative ai compiti dei Servizi e delle autorità giudiziarie minorili in merito agli affidamenti giudiziari.
Nei casi di minori affidati dal Servizio locale1 a seguito di un provvedimento del Tribunale per i minorenni si ritiene necessario, anche in base alle esperienze realizzate fino ad oggi, richiamare l’attenzione e l’impegno dei Servizi e della Magistratura su alcuni aspetti diretti a migliorare gli affidamenti nell’interesse superiore dei minori .
1.Fornire una adeguata informazione agli affidatari sulla situazione personale e familiare del bambino, affinchè acquisiscano gli elementi indispensabili per potersi rapportare in modo corretto con lui.
Al riguardo si richiama, a titolo esemplificativo, la circolare emanata dal Tribunale per i minorenni di Torino 2che, dopo aver precisato che il decreto che dispone l’affidamento familiare non può essere notificato (salvo eccezioni in casi del tutto particolari) agli affidatari, in quanto non si tratta di “parti” , ha però rilevato l’importanza “del ruolo che la famiglia affidataria esplica e per favorire l’attuazione della misura in condizioni di miglior chiarezza e serenità”, e ha segnalato “l’opportunità che, al momento dell’avvio dell’affidamento, sia consegnato a ogni famiglia affidataria un documento che, sintetizzando il dispositivo del provvedimento giudiziario, fornisca le informazioni più importanti circa l’affidamento disposto (prevedibile durata, diritti della famiglia di origine, misure sociali e psicologiche a sostegno del minore)”.
Quanto esposto potrebbe essere tradotto, come già alcuni Servizi hanno fatto ( v. ad es. il Comune di Torino3), in una lettera informativa da consegnare - insieme all’altra documentazione relativa all’affidato - agli affidatari contenente notizie sul minore, i suoi bisogni, le ragioni dell’affidamento, la presumibile durata, le modalità di rapporto del minore con la sua famiglia di origine, gli interventi di sostegno e gli elementi di conoscenza per favorire il buon esito dell’inserimento presso gli affidatari.
2. Aggiornare tempestivamente gli affidatari sugli sviluppi dei procedimenti relativi al bambino da loro accolto, ragguagliandoli al più presto sui loro esiti, fornendo anche le necessarie notizie sulle azioni di competenza del tutore e del curatore speciale del bambino e segnalando i fatti salienti riguardanti la famiglia di origine, che possono avere ripercussioni sul progetto di affido del minore ( ad es. carcerazione, ricovero ospedaliero, nascite o decessi, trasferimenti, …)
3. Ottemperare alle disposizioni vigenti previste all’ art. 4.,comma 3, legge n.184/1983 e s.m. Esse prevedono che “il Servizio cui e' attribuita “la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento” ha “ l'obbligo di tenere costantemente informato il tribunale per i minorenni e di riferire senza indugio ogni evento di particolare rilevanza; al riguardo essi sono tenuti a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.“
Il Tribunale per i minorenni nel disporre l’affidamento familiare , oltre all’indicazione del Servizio cui è demandata la realizzazione dell’affidamento , dovrebbe precisare nel provvedimento:
a) la prevedibile durata dell’affidamento stesso, in relazione alla situazione personale e familiare del minore stesso. Al riguardo il Tribunale per i minorenni di Torino nella circolare già citata ha ricordato “ai Servizi sociali della Regione, affinché i cittadini interessati all’esperienza dell’affidamento familiare siano informati in modo il più possibile completo” che “ fermo restando l’impegno per il superamento, attraverso ogni forma di sostegno, delle condizioni di disagio della famiglia di origine del minore che hanno reso necessaria la misura di cui trattasi, allo scopo di favorire il rientro del figlio minore, l’affidamento familiare, come stabilito dall’art. 4, commi 5° e 6° legge 184/83, modif. l. 149/01, può essere prorogato dal Tribunale per i minorenni, dopo il periodo iniziale sopra indicato, nei casi in le difficoltà della famiglia di origine non siano venute meno. Infatti, in queste situazioni, il Tribunale può adottare “ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore”, tra i quali rientra certamente l’affidamento familiare”
b) le eventuali indicazioni sulle modalità di rapporto del minore coi suoi familiari;
c) l’estensione agli affidatari delle provvidenze di cui all’art. 80 della l. 184/1983 e successive modifiche (assegni familiari, detrazioni fiscali, congedi parentali, ecc..) e la corresponsione di un rimborso-spese adeguato e la necessaria copertura assicurativa(1).Una disposizione analoga dovrebbe essere assunta dal giudice tutelare in relazione alla durata dell’affidamento consensuale.
E’ necessario infatti corrispondere agli affidatari un rimborso spese adeguato alle condizioni e necessità dei minori accolti, indipendentemente dal loro reddito, come riconoscimento del ruolo sociale da loro svolto e per consentire a tutte le persone capaci ed idonee l’accoglienza di minori4
e) l’audizione degli affidatari prima di prendere nuovi provvedimenti sui minori da loro accolti, prevedendo anche la possibilità che gli stessi affidatari, su loro richiesta, vengano sentiti nel corso dell’affidamento dal giudice competente in tempi compatibili con l’urgenza e la gravità delle questioni prospettate;
f) l’indicazione nel provvedimento di affidamento che, a conclusione dello stesso, vengano individuate, caso per caso, nell’interesse preminente del minore,modalità di passaggio e di mantenimento dei rapporti fra il minore e la famiglia che lo ha accolto, sia quando rientra nella sua famiglia d’origine, sia quando viene inserito in un’altra famiglia affidataria o adottiva o in una comunità. Riteniamo infatti che vada salvaguardata la continuità dei rapporti affettivi del minore e che la gestione di questa delicata fase di transizione della vita del minore (sia bambino che adolescente) non debba essere lasciata dal Tribunale esclusivamente alla discrezionalità degli operatori dei servizi socio-assistenziali e sanitari5.
e) l’equiparare il “ collocamento temporaneo ”,previsto dall’art. 10,comma 36 della legge n. 184/1983 all’ affidamento familiare, estendendo ai “collocatari” le stesse provvidenze previste per gli affidatari .

1) Per Servizio sociale locale si deve intendere l'ente che gestisce gli interventi assistenziali: Comune, Consorzio di Comuni, Comunità Montane, Province.
2) Il testo è riportato sul Notiziario Anfaa in Prospettive assistenziali n.168
3) Il testo è riportato sul Notiziario Anfaa i Prospettive assistenziali n.,168
4) Va al riguardo rilevato che l’articolo 80 della legge n. 1984/1983 e s.m. dispone "le Regioni determinano le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento, affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l'idoneità all'accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche".
5) Vedi al riguardo anche il documento del Tavolo nazionale affidi sulla garanzia della continuità degli affetti dei minori affidati.
6) Il testo è il seguente: “Il tribunale può disporre in ogni momento e fino all’affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell’interesse del minore, ivi compresi il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare, la sospensione della podestà dei genitori sul minore, la sospensione dell’esercizio delle funzioni dl tutore e la nomina di un tutore provvisorio”.
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Re: 3. LA PETIZIONE AI PRESIDENTI DELLE “REGIONI FUORI FAMIG

Messaggioda Nino Di Maio » 01/06/2013, 18:58

Amici carissimi volevo avere un vostro gentile contributo su questo mio se pur breve pensiero. Partendo dalla consapevolezza di non avere la preparazione adeguata dal punto di vista normativo; leggendo ed approfondendo il Piano Nazionale per le Famiglie del 7 Giugno 2013, l' Affido viene indendificato e subordinato alla riforma dei Consultori Familiari. Vorrei insieme con voi porre questa problematica. E' giusto questo; è opportuno che i Consultori Familiari passino dall' aspetto sanitario, il ruolo che attualmente svolgono, ad un disegno molto diverso e più ampio? Come potrebbe essere disegnato il livello nazionale con una legge quadro e poi per il principio di sussidiarietà delegare alle regioni l' ambito attuativo? Quali potrebbero essere i cardini dei nuovi consultori familiari?

Ringraziandovi aspetto il vostro prezioso ed illuminante contributo.

Nino Di Maio
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