Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Quando inserire un minore in casa famiglia con educatori residenti? E quando inserirlo in una comunità educativa con educatori turnanti? Quali "standard affettivi" caratterizzano queste due tipologie di comunità? Quali criteri di orintamento generale tenere presenti nell'individuazione di una comunità in cui inserire un "bambino 0-10 anni"? E quali per un minore vittima di abuso sessuale o di maltrattamento grave?

Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda ELVIRA ALFANO » 26/03/2014, 18:02

1. come voi egregiamente avete evidenziato, vi è una normativa di riferimento a cui attenersi ma come spesso capita, le leggi sono interpretate a seconda dei giudizi personali. Per la nostra esperienza ormai decennale, riteniamo che per i neonati e per bambini sino ai 5 anni sia fondamentale se non vitale per la loro sana crescita psicologica ed emotiva (qualora non fosse possibile un affido) l’accoglienza in una struttura con coppia residente. I bambini così piccoli hanno il bisogno di sperimentare attraverso le emozioni, il prendersi cura. Per i minori dai 6 ai 10 può essere indifferente se con coppia genitoriale o con educatore residente, resta il fatto che anche per questa fascia d’età rimane fondamentale avere l’opportunità di sperimentare una relazione genitoriale forte e presente.
2. siamo molto d’accordo sulla specializzazione delle strutture, non solo in casi di abusi, il problema rimane sull’assenza di metodi e prassi per definire cos’è la qualità di un servizio, quali sono i parametri e chi e come deve valutare e poi monitorare.
3. interessante l’istituzione di un anagrafe, sarebbe interessante inserire anche criteri di “qualità”
4. noi crediamo molto nella supervisione, infatti da anni abbiamo una psicologa che supervisiona il lavoro dello staff e accompagna e sostiene il lavoro della coppia. La valutazione avviene sia nell’osservazione delle pratiche quotidiane sia all’interno delle riunioni d’equipe. Pensiamo sia fondamentale sia il sostegno emotivo dello staff che della coppia. Come voi avete meravigliosamente definito: “la casa è relazione” e scambio di emozioni che vanno tutelate tutte.

Sarno 05/03/14
ELVIRA ALFANO
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda CARUCCI MIRELLA » 26/03/2014, 18:27

In merito al secondo quesito, ritengo corretto affermare che i minori vittime di abusi e di gravi maltrattamenti in una fase iniziale abbiano necessità di ricevere un supporto di tipo "terapeutico" che non sempre una famiglia affidataria è in grado di fornire al minore. Concordo dunque in un inserimento in comunità familiari, in cui è presente personale specializzato che lo aiuti ad elaborare quanto accaduto, affinché essi violati nella loro sfera psicologica e intima, possano riacquistare fiducia nell'adulto.
Ciò non toglie che dopo un certo periodo, non quantificabile in modo univoco, il minore possa essere inserito in un contesto familiare affidatario, che possa restituirgli il senso dell'appartenenza, avere punti di riferimento stabili ed accoglienti, assicurandogli anche se in modo graduale una stabilità relazionale e sociale.
CARUCCI MIRELLA
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda ROSA GRASSINI » 26/03/2014, 18:42

Prima questione
Nella scelta della comunità in cui inserire i bambini da 0 a 10 anni, è preferibile, salvo eccezioni motivate, la comunità con educatori residenti?

La prima cosa da evidenziare è che la scelta della comunità sia fatta “a misura di bambino”. Possiamo usare questa terminologia derivante dalla caratteristica che la Grande Pedagogista Montessori voleva della scuola. “ A misura del bambino” vuol dire che la comunità deve accogliere il minore in base ai suoi bisogni, alle sue necessità. A mio modesto parere è molto importante, salvo casi speciali, che i minori da 0 a 10 anni siano inseriti in un contesto comunitario dove ci siano adulti di riferimento, siano essi educatori o operatori. La scelta più adeguata è la casa famiglia dove in mancanza di un contesto familiare d’origine stabile, il minore, possa insieme alla coppia residente e all’educatore, capire e sperimentare l’organizzazione e il calore di una vera e propria famiglia, imparando pian piano ad avere relazioni affettive e sociali stabili. Il ruolo dell’educatore è importante, fondamentale all’interno delle case famiglia o delle comunità di tipo familiare. Educare deriva dal latino ex-ducere e vuol dire tirar fuori. Tirar fuori il meglio, aiutare il minore a ritrovare il suo equilibrio psico fisico e sociale.

Seconda questione
È preferibile ricorrere all’inserimento in comunità psicoeducative specializzate quando si è di fronte a minori vittime di maltrattamento grave o di abuso sessuale.

A questo tipo di quesito secondo me non è possibile rispondere in modo diretto perché andrebbe valutata la cosa in base alla situazione. Quello che posso dire è che ogni casa famiglia o comunità dovrebbe rafforzare la sua equipe interna. Questo pone davanti a delle difficoltà pratiche di tipo economico. Sarebbe necessario un appoggio globale delle istituzioni a cui andrebbe ricordato che la società nasce dagli “ultimi”.

Terza questione
Occorre realizzare un’anagrafe delle comunità per minori

Si, è importantissimo. Ogni servizio sociale del comune o di un altro tipo di ente dovrebbe tenere aggiornato un registro in cui ci siano i nomi delle case famiglia o comunità, i loro statuti, i loro membri, le loro equipe, le testimonianze del loro modo di lavorare. C’è bisogno di depoliticizzare le scelte verso le comunità a cui rivolgersi, i servizi sociali grazie a tale anagrafe possono scegliere la comunità migliore per il minore da affidare. Noi di progetto Famiglia poniamo al centro dell’attenzione, al centro del nostro lavoro, il MINORE, la sua tutela, la sua educazione, il suo benessere, facendo slittare in secondo piano gli interessi personali ed economici dei membri dell’associazione.

Quarta questione
La supervisione psico emotiva degli educatori
Sono d’accordo con ciò. Molte case famiglia non sono ben attrezzate sia dal punto di vista materiale che per quanto concerne la preparazione e la passione nel lavorare dei propri educatori. Molte volte chi si laurea in Scienze dell’Educazione non lo fa in modo consapevole e magari lavorano nel sociale solo perché non trovano altro o perché sono politicizzati e messi li.
Educare è una missione ed occorre consapevolezza, passione e dedizione
ROSA GRASSINI
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda ROSACAPUTO » 27/03/2014, 14:06

1)Accogliere un minore presso una struttura con educatore residente fornisce all’accolto la possibilità di “imparare” che avere una persona come punto di riferimento, a cui poter raccontare di sé e di cui si può fidare, tale modalità di accoglienza dà la possibilità di avere figure educative valide le quali possono aiutarlo nello sviluppo psico fisico. Tale modalità mostra, a volte per poco a volte per un tempo più lungo, un altro modo di essere famiglia e genitori.
Credo che sia giusto pensare anche per gli accolti più grandi una comunità con operatori residenti, e laddove sia possibile si potrebbe pensare anche ad una coppia residente. Penso a quando ad essere accolte sono donne maltrattate con figli, una coppia con figli potrebbe essere un ottimo esempio di “ Famiglia” sia per l’adulto perché potrebbe confrontarsi con una famiglia normale, la quale comunque si trova a vivere le difficoltà quotidiane, e dall’altra parte anche per il minore potrebbe essere un’ottima soluzione in quanto fornisce al minore il senso di “normalita’”
2)Sicuramente il minore che abbia subito abuso o gravi maltrattamenti deve a mio avviso essere inserito presso una comunità con operatori residenti ma altamente specializzati. Sappiamo bene che la fase dell’inserimento in una struttura è quella più delicata, soprattutto per tali minore.
3)Sicuramente sarebbe interessante e giusto che i servizi territoriali potessero disporre di una “banca dati” sulle caratteristiche delle varie comunità dove poter inerire i minori, immagino che se mai ci fosse un elenco del genere sarebbe molto più facile e veloce anche per gli assistenti sociali contattare la struttura che meglio si addice alle esigenze del minore.
4)E’ secondo il mio parere necessaria un supervisione psico emotiva per gli operatori delle comunità, in quanto spesso anzi spessissimo gli accolti attivano negli operatori vissuti che necessitano una lettura del qui ed ora dell’incontro.
ROSACAPUTO
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda GIULIAPALOMBO » 28/03/2014, 10:32

1. Ritengo che il calore relazionale e il sentimento di appartenenza che una famiglia può offrire sia fonte di “nutrimento” psico-emotivo e strumento di “ristrutturazione” interna sia per sia per i bambini più piccoli che per i ragazzi più grandi. Naturalmente per i bambini fino a 10 anni l’effetto benefico dell’inserimento in un contesto familiare è più evidente e chiaramente indispensabile, ma basta pensare all’importanza che per gli adolescenti assume il confronto/scontro con figure genitoriali autorevoli, ma allo stesso tempo accoglienti e contenitive per capire che la famiglia è una grande potenzialità anche per i più grandi!


2. Dato per scontato che i bambini vittime di maltrattamento e abuso sessuale debbano essere inseriti in comunità specializzate, mi chiedo cosa garantisce che una certa comunità sia effettivamente specializzata. Ad oggi l’aderenza di una comunità a requisiti di qualità (come quelli indicati dal coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia-CISMAI-) è valutata di volta in volta dall’operatore sociale che opera la scelta e non è certificata da un organo istituzionale.
È necessario dunque, non solo aprire una seria riflessione sugli standard di qualità delle strutture di accoglienza per minori e una definizione dettagliata e condivisa delle “buone prassi” che ciascuna di esse deve adottare per rispondere al meglio ai bisogni di ciascun bambino accolto, ma anche rendere effettivo ed operativo l’utilizzo di tali buone prassi, attraverso dei riferimenti normativi e una efficace attività di monitoraggio e controllo.

3. L’istituzione di un’anagrafe, almeno regionale, delle strutture di accoglienza con l’indicazione di tutti gli elementi che le caratterizzano, sarebbe uno strumento utilissimo per tutti gli operatori del settore e permetterebbe di effettuare abbinamenti struttura-minore più funzionali al benessere del minore accolto.

4. La supervisione psico-emotiva, come spazio di elaborazione delle dinamiche inter e intrapersonali dovrebbe essere obbligatoria non solo per gli operatori delle comunità specializzate per minori vittime di abuso e maltrattamento, ma per tutte le strutture di accoglienza per minori. Ancora di più, un percorso di elaborazione dei propri vissuti si rende necessario quando fra operatori e minori accolti c’è un legame di convivenza. In questi casi la maggiore profondità della relazione e la vicinanza emotiva rendono più intense le emozioni in gioco, rischiando di rendere meno nitida la lettura dei bisogni del minore e, di conseguenza, meno funzionali le risposte educative.
GIULIAPALOMBO
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda GIOVANNA ZANFARDINO » 31/03/2014, 15:02

1)Ordinariamente, è buono inserire bambini e ragazzi in comunità in cui vi siano educatori residenti, specialmente una coppia, che abbia anche dei figli. Il contenimento e la stabilità psico emotiva che offre una famiglia residente rispetto alla presenza di operatori turnanti, sia per un bambino che per un adolescente, è un elemento fondamentale per soddisfare il bisogno del minore di avere un riferimento adulto significativo. In particolar modo, con l’adolescente, oltre ai bisogni di affetto e di cura, emerge l’esigenza del confronto ma anche dello scontro, entrambe necessari al processo di differenziazione e crescita verso la creazione della propria identità. Per un bambino o un ragazzo, vivere in un contesto familiare, aver come modello quotidiano una famiglia con le sue risorse e fragilità, vedere come si rapportano genitori e figli, o gli stessi figli tra loro, costituisce un modello che possono poi scegliere per la propria vita. In questo modo, viene data, a questi bambini e ragazzi, la possibilità di sperimentare un modello diverso di famiglia, ma sempre rispettando la loro storia.
2)In alcuni casi di maltrattamento grave o di abuso, le esigenze del minore, almeno in una prima fase necessitano d’interventi specializzati, per cui una famiglia non è sempre attrezzata per far fronte alle specifiche esigenze. In una secondo momento, quando è superata la fase critica della vicenda, il minore può proseguire il proprio percorso in un contesto familiare. Nei casi in cui il minore ha una tenera età, è sempre preferibile assicurargli la presenza di figure residenti, possibilmente una famiglia, anche con figli.
3)Certamente fornire ai servizi sociali una banca dati, in cui sono presenti le caratteristiche peculiari delle comunità per minori, facilita l’abbinamento minore/comunità.
4)L’accompagnamento di un supervisore, nel lavoro di accoglienza di bambini è ragazzi, è necessario, anche se a volte sembra essere sottovalutato. Per gli educatori e le famiglie che con amore e passione quotidianamente si prendono cura di bambini e ragazzi, lavoro di supervisione aiuta a guardarsi interiormente, a modificare comportamenti ed abitudini che potrebbero indebolire l’azione di crescita e di recupero di cui i minori sono bisognosi.
GIOVANNA ZANFARDINO
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda Rosa Di Prisco » 31/03/2014, 21:56

1)Nella scelta della comunità in cui inserire il bambino, ritengo sia preferibile o anche indispensabile scegliere una comunità con educatori residenti.
La motivazione potrebbe sembrare anche scontata ma è certo che nell’ immaginario collettivo la casa , la famiglia, rappresentano il nido d’amore per eccellenza, in cui rifugiarsi nei momenti di bisogno, o nella quotidianità. Il bambino, la cui famiglia d’origine è segnata da gravi disagi, che spesso comportano deprivazioni socio-ambientali (che non favoriscono un adeguato sviluppo del minore), ha sempre bisogno di avere una famiglia che gli possa trasmettere tranquillità e “contenimento”.
L’ambiente nel quale gli educatori ed educandi sono immersi deve dunque essere un ambiente sereno e stabile, nel quale non si stia continuamente a rimarcare la condizione di disagio da cui il minore proviene.
Un “oasi felice” in cui i piccoli possano rilassarsi, scaricando lo stress continuo a cui sono o sono stati sottoposti. L’educatore, soprattutto se residente, può far percepire la propria rassicurante presenza sia nelle attività quotidiane che nei momenti significativi dell’esistenza. Sappiamo bene che un bambino sicuro e sereno ha maggiori possibilità di non essere un adolescente che mette in atto atteggiamenti aggressivi o antisociali. Avere, quindi, la possibilità di inserire un minore in una comunità con educatori residenti per me significa poter garantire una presenza attiva nella vita di quest’ultimo, affiancandolo con rispetto e cura nelle situazioni che è chiamato a vivere. Da favorire, in ogni caso, nella fascia d’età 0-10 in quanto gli effetti negativi di relazioni educative di tipo ambivalente, insicuro, in famiglia o a scuola, hanno ampi margini di recupero se vengono corretti con la creazione di condizioni ambientali adatte, nel periodo infantile o prepuberale.
2)Quando si è di fronte a minori vittime di maltrattamento grave e di abuso sessuale, potrebbe essere utile inserire il minore in comunità psicoeducative specializzate, ma credo che una valida alternativa potrebbe essere quella di inserire il minore in una comunità con educatori residenti, magari con figli, all’interno della quale il minore, fortemente traumatizzato, possa ricreare degli equilibri dopo che sia stato prontamente attivato un percorso di psicoterapia.
3)Credo sia assolutamente utile realizzare un’ anagrafe delle comunità per minori.
4)La Supervisione psico-emotiva degli educatori delle comunità può essere sicuramente utile se fatta da persone competenti nel settore. Dal mio punto di vista, però, dovrebbe esserci anche una supervisione volta alla prevenzione dello stress nelle relazioni di aiuto, che colpisce frequentemente gli operatori educativi, ma che potrebbe essere evitato attraverso elementi quali: abilità comunicative; organizzazione efficiente; lavoro di squadra; vita extraprofessionale equilibrata etc. Quindi, partendo dal presupposto che una comunità residenziale “funzioni nel modo giusto”, ritengo utile la supervisione, ma mi porrei l’attenzione soprattutto sul concetto di collaborazione dell’equipe psicopedagogica che è chiamata a fronteggiare i disagi dei minori. Gli operatori educativi si confrontano quotidianamente con le complesse e dolorose problematiche degli utenti, in una realtà che molto spesso tende a sminuire la loro figura professionale e questo mix di elementi non può che dare origine a tensioni, frustrazioni e conflitti.
Pertanto, dato che, la relazione di cura si costruisce tenendo conto dello stato psico-fisico non solo dell’ utente ma anche dell’ operatore, affinché esso possa svolgere al meglio le sue funzioni ritengo che solo un lavoro realmente sinergico tra i vari operatori possa favorire una maggiore produttività di ognuno; la realizzazione personale e professionale degli stessi e la prevenzione dello stress o comunque di elementi negativi. Tutto ciò al fine di poter offrire un servizio agli utenti che sia davvero efficiente ed efficace indispensabile soprattutto perché il tempo sociale che si investe nell’ educazione è un tempo sociale che si recupera ampiamente nelle fasi successive di crescita degli utenti stessi.
Rosa Di Prisco
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda MARIA GUERRA » 01/04/2014, 13:33

1a questione. Nella scelta della comunità in cui inserire bambini 0-10 anni, è preferibile, salvo eccezioni motivate, la Comunità con educatori residenti?
Dovendo scegliere in quale comunità inserire i bambini di 0/10 anni è preferibile una struttura con educatori residenti. In particolare, la presenza di una famiglia, che risiede stabilmente nella comunità, assicura una maggiore capacità di risposta ai bisogni psico-affettivi e relazionali dei minori accolti.
2a questione. È preferibile ricorrere all'inserimento in Comunità psicoeducative specializzate, quando si è di fronte a minori vittime di maltrattamento grave e di abuso sessuale?
In sedici anni di servizio ho inserito due minori vittime di abuso e maltrattamento in comunità specializzate. A mio avviso i bambini ed i ragazzi che vivono queste problematiche devono essere accompagnati da educatori adeguatamente formati e da un esperto psicoterapeuta. Nel caso in cui ad accogliere è una famiglia, il percorso di recupero del minore vittima di abusi o maltrattamenti può essere molto positivo, poiché vi è la possibilità di coniugare la risposta terapeutica con la presenza di un clima familiare.
3a questione. Occorre realizzare un'Anagrafe ragionata delle Comunità per minori?
E’opportuno realizzare un’Anagrafe delle comunità per minori che metta in evidenza alcuni elementi peculiari delle strutture: il numero massimo delle accoglienze, se la coppia residente ha figli, il progetto educativo, la tipologia ed il numero delle figure professionali presenti nella comunità, se vi è supervisione psico-emotiva degli educatori, le informazioni ambientali della struttura e come essa è collegata al territorio.

4a questione. La Supervisione psico-emotiva degli educatori delle comunità è necessaria?
La supervisione psico-emotiva degli educatori delle comunità è necessaria, poiché permette di rispondere in maniera adeguata ed efficace ai bisogni dei minori accolti. Essa può avere una cadenza trimestrale e deve essere svolta da un professionista che abbia attitudini ed esperienza specifica. Infine sarebbe opportuno renderla obbligatoria per tutte le strutture residenziali per minori.
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda AMALIA CANALE » 02/04/2014, 10:30

1)A partire dalla mia esperienza professionale posso confermare che per i bambini da 0 a 10 anni è opportuno scegliere l’ inserimento in una comunità con figure stabilmente presenti e residenti: sia educatori che famiglie. Questo tipo di abbinamento può essere efficace anche per gli adolescenti. È la dimensione familiare e di convivenza che determina risposte migliori e più idonee ai bisogni dei minori.
2) Nei casi di minori vittime di maltrattamento grave e di abusi sessuali non sempre è necessaria una comunità specializzata ma È importante che il lavoro di recupero del minore sia supportato da un percorso psicoterapeutico con l’ ausilio di professionisti competenti. La presenza di educatori residenti diviene la base sicura e rinforzante del lavoro terapeutico.
3) l’idea di una banca dati, in cui siano esplicitate informazione e caratteristiche delle strutture per minori, è buona, in quanto agevolerebbe il lavoro dei servizi territoriali e faciliterebbe l’abbinamento minore/comunità.
4)la supervisione dovrebbe essere obbligatoria e necessaria non solo per tutti gli operatori sociali, ma anche per coloro i quali si trovano a compiere un lavoro educativo e riabilitativo con bambini e ragazzi disagiati.
AMALIA CANALE
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda ANGELA PANDOLFI » 02/04/2014, 10:54

1° questione- Credo che, salvo eccezione motivate, inserire i minori in strutture con educatori residenti sia sempre preferibile, soprattutto quando è una famiglia . Vivere in famiglia, per ogni minore è fondamentale, soprattutto nelle prime fasi di crescita, perché le dinamiche che caratterizzano la famiglia sono importanti per la costruzione della propria identità. Sapere che c’è qualcuno che ti vuole bene e ti accoglie, oltre ad essere obbiettivo inconscio insito in ciascuno di noi, è anche quello che ci permette di costruire una personalità sana. Questo credo valga per tutti, ancor più per i minori che hanno vissuto esperienze di famiglia sfavorevoli. Avere l’opportunità di vivere in una famiglia sana e accogliente, sia pure per un tempo limitato, permette al minore di respirare un clima di vita alternativo.

2° questione- Ritengo corretto che i minori vittime di abusi sessuali e di gravi forme di maltrattamento, vengano accompagnati da operatori altamente specializzati. E ritengo opportuno anche che l’inserimento per questi minori in comunità con famiglia residente sia pensabile nella successiva fase di riabilitazione. Ma sarebbe ancora più bello poter inserire questi minori sempre in famiglie che accolgono, scegliendole tra famiglie affidatarie preparate ad hoc e che non siano troppo “invasive”. Sarebbe preferibile che non abbiano figli o altri minori in casa, in modo da ricreare un rapporto di uno a uno, ovvero coppia/ minore, e che insieme facciano il percorso di diagnosi, trattamento terapeutico e riabilitazione con gli operatori specializzati.

3° questione- Avere una banca dati dettagliata e aggiornata sarebbe una buona cosa. In tal senso la ricerca da parte dei servizi sociali avrebbe più possibilità di fare il “giusto” abbinamento minore/comunità.

4° questione- Credo che più di “super-visione” psico-emotiva, ci sia bisogno di “accompagnamento” da parte dei professionisti. Inoltre, credo sia altrettanto importante per gli operatori del settore avere una formazione continua e opportunità di confronto con altri.
ANGELA PANDOLFI
 
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