La legge 149/01 nel modificare la legge 184/83 ha integrato l’elenco dei compiti degli affidatari (e, per analogia, delle comunità educative) aggiungendo alle già previste funzioni di «mantenimento, l’educazione, l’istruzione», anche il compito di assicurare al minore «le relazioni affettive di cui egli ha bisogno» (art. 2, comma 1). Così facendo il legislatore ha inteso evidenziare lo “specifico relazionale” delle forme di accoglienza familiare (affidamento familiare o inserimento in comunità educativa), atteso che le altre funzioni sarebbero potute essere assolte anche dagli istituti educativo-assistenziali che si è invece scelto di “superare” entro il 31.12.2006 (art. 2, comma 4), cosa che è poi effettivamente avvenuta.
Si è quindi introdotto, nel quadro delle norme che regolano la tutela minorile, quell’ampio filone di ricerca e riflessione psico-pedagogica che nel tempo ha dato adeguata evidenza al profondo bisogno che bambini e ragazzi hanno di poter intessere relazioni significative con adulti positivi, che permettano loro di sperimentare attaccamenti affettivi funzionali e sperimentare una «base sicura» (1). In quest’ottica l’accoglienza familiare può configurarsi come potenziale “fattore di resilienza” (cioè come un’esperienza che permette a ragazzi segnati da esperienze di disagio e deprivazione, di sviluppare, se adeguatamente sostenuti, nuove energie per le situazioni sfavorevoli), e di “ristrutturare” il proprio M.O.I. (Modello Operativo Interno) e la connessa immagine che i minori (e le persone tutte) hanno di se stessi, degli altri, del mondo. Come sostiene anche G. Cambiaso «se riteniamo infatti, che nella maggior parte dei casi, uno dei danni più pesanti ricevuto dal bambino nella sua famiglia d’origine sia quello di non aver potuto sperimentare una relazione d’accudimento supportiva e rassicurante, è proprio nel risanamento di questa carenza che consiste la principale funzione della famiglia affidataria e/o dei nuovi punti di riferimento adulti incontrati dal minore, in grado di fornire cure e protezione adeguate e promuovere la riparazione».
(1) Bowlby J. (1988), A Secure Base: Clinical Applications of Attachment Theory, Routledge, Londra.
SPUNTI PER IL CONFRONTO
Nella progettazione dei percorsi di accoglienza, quali sono gli indicatori da tener presenti per scegliere il “luogo” (in affido o in comunità? In quale affido? O i quale comunità?) maggiormente abbinabili ad un determinato minore, cioè più adatti ad offrire risposte adeguate ai suoi specifici bisogni psico-affettivo-relazionali? Quali fattori di protezione sono più facilitanti il processo di resilienza? Quali invece lo ostacolano?