L'affiancamento nelle fasi di transizione

L'affiancamento nelle fasi di transizione

Messaggioda Giordano Barioni » 16/03/2016, 9:59

Da tempo sto pensando all’uso dell’affiancamento nelle fasi di transizione. Tutto il nostro sistema (anche del volontariato) è fatto a scalini (a volte grandissimi) mentre chi vive nella difficoltà ha bisogno di salite e discese morbide, di lunghezza adeguata alle sue possibilità. Di fatto la persona o il nucleo affrontano una fase di "disabilità" rispetto alla loro immediata autonomia nell’affrontare un problema: necessitano di una rampa percorribile in base alle loro capacità. Non fare questo passaggio molto spesso vanifica il lavoro precedente con un evidente spreco di risorse ma soprattutto con il crollo dell'autostima e con il rischio di una immediata cronicizzazione del disagio. Cronicizzazione che è in genere il grande problema dei servizi sociali, laddove molto spesso la condizione di marginalità sociale diviene addirittura ereditaria. L’alveo dell’assistenza sociale sembra vere un larghissimo ingresso e una strettissima uscita.
La mancanza di accompagnamento nelle fasi critiche, specie se vissute da persone fragili, diventa predittiva dell’aggravarsi della situazione e/o dell’insorgere di nuovi problemi. Quando poi a vivere questa situazione è la madre con il bambino il discorso si amplifica poiché inevitabilmente il figlio viene incanalato nel fosso in cui vive (si vive) la madre. Se c’è una categoria con la quale è utile e realmente preventivo intervenire è quindi proprio quello di sostegno alle madri sole. Obiettivo dell’intervento non deve essere il bambino ma la costruzione dell’autonomia della madre, delle sue capacità genitoriali, della sua adultità. Con questo sostegno si crea la vera e duratura tutela del bambino: dargli una madre capace di essere madre. Bisogna procedere per piccoli passi aiutando la madre di crescere, a percepire e sviluppare le sue capacità, con progetti costantemente verificati e che si danno un tempo di fine.
L’affiancamento può servire in tutte le fasi di cambiamento attraverso l’instaurarsi di relazioni calde che aiutano le persone a non sentirsi sole e a superare la paura del cambiamento stesso. Anche se il singolo progetto si conclude rimane il beneficio di una rete di relazioni capace di attivarsi in nuove occasioni.
Ad esempio siamo quasi riusciti (poi ci è mancato qualcosa ma ripartiremo) ad utilizzare l’affiancamento familiare per i ragazzi in uscita dalle comunità educative con l’idea che nella loro rete relazionale potessero avere non solo coetanei ma anche una o due famiglie a cui fare riferimento nella prosecuzione del loro progetto di vita.
Giordano Barioni
 
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Re: L'affiancamento nelle fasi di transizione

Messaggioda GIULIA PALOMBO » 29/03/2016, 15:24

Ci sono alcune capacità che non sono acquisite una volta per tutte, ma che richiedono un tempo di rafforzamento e consolidamento, un tempo in cui si possa anche “sperimentare” la nuova acquisizione, facendo degli errori, riaggiustando il tiro e riprovando, fino a quando non ci si sente pienamente capaci di gestire e utilizzare la nuova competenza.
Questo è quello che accade anche quando la capacità in questione è il raggiungimento di livelli sufficienti di autonomia ed emancipazione personale. E’ quello che accade in tutte le famiglie, dove i genitori vedono i figli partire spediti per la loro meta, sicuri di poter conquistare il mondo e poi li vedono ritornare feriti e delusi, per sanare le ferite, misurarsi con un’immagine di Sé più realistica e ripartire!
Riprendendo la bella metafora di Giordano Baironi, la crescita non è fatta di “scalini” ma di “salite e discese”. Se il sistema di accoglienza è strutturato a “scalini”, a volte anche molto alti, esso non può rispondere ai reali bisogni degli accolti.
Nelle strutture di accoglienza per giovani o madri con figli, pur essendoci un’attenzione verso l’accompagnamento all’autonomia, vi è una forte strutturazione e organizzazione del servizio, una importante presenza di operatori specializzati che mettono in atto azioni volte a dare risposta ai bisogni delle donne e dei minori, alla realizzazione dei piani individuali e al coordinamento delle attività quotidiane.
Il rischio è dunque che, al momento delle dimissioni, ci sia un passaggio repentino e brusco da un conteso “assistito” ad uno di completa autonomia, in ci si trova da soli ad affrontare una situazione completamente nuova, andando facilmente incontro a recidive.
Proprio per rispondere a questa esigenza, Progetto Famiglia insieme ad altri, sta pensando ad un “sistema di accoglienza ad uscita graduale”, in cui “strutture intermedie” di semi autonomia possano svolgere la funzione specifica dell’accompagnamento all’autonomia. Dei contesti “accompagnati” ma non “completamente assistiti” che possano fornire spazi sempre maggiori di auto-gestione e auto-organizzazione, pur all’interno di una cornice protetta. Gli operatori dell’equipe tecnica, in un servizio così strutturato, garantiscono un ampio monitoraggio dei percorsi e un affiancamento nei momenti più “critici”, proponendosi come riferimenti solidi ma che allo stesso tempo facilitano e promuovono l’autonomia sia nella gestione della quotidianità che nei processi decisionali.
Questo tipo di strutture, inoltre, occupandosi e curando specificamente l’aspetto dell’accompagnamento all’autonomia e dell’inserimento sociale, dovrebbe pianificare e attivare sul territorio una serie di risorse e attività pronte ad essere utilizzate al momento opportuno (famiglie disposte e formate per percorsi di affiancamento, protocollo d’intesa e convenzioni…).
GIULIA PALOMBO
 
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