8. ASSETTI ORGANIZZATIVI DEL NETWORK “FORMALE & INFORMALE"

La crisi relazionale post-moderna e la dimensione comunitaria del lavoro sociale e del volontariato; la promozione della solidarietà familiare, il radicamento territoriale e la condivisione dei bisogni; il lavoro di rete formale e informale: visione olistica e approccio ecologico; i tessitori naturali delle reti; la supervisione “esperta” delle reti.

ESPERTI COINVOLTI: Alfonso Pepe, Associazione Progetto Famiglia Avellino; Luigi e Anna Piccoli, Ass. Il Noce di Casarsa della Delizia (PN); Elisabetta Giuliani, Servizio Affidi della Provincia di Roma; Giorgio Marcello, Dipartimento di Sociologia dell’Università di Cosenza; Giancarlo Cursi, Pontificio Ateneo Salesiano di Roma; Nicoletta Goso, Movimento Famiglie affidatarie e solidali, Roma; Antonella Pontillo, Associazione Progetto Famiglia Benevento; ...

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8. ASSETTI ORGANIZZATIVI DEL NETWORK “FORMALE & INFORMALE"

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 08/03/2013, 21:35

La valorizzazione della dimensione relazionale tra gli operatori è determinata non solo dalla volontà e dalla predisposizione caratteriale dei singoli ma anche da precise scelte e assetti organizzativi. È anzi necessario mettere a fuoco la specificità organizzativa che caratterizza il contesto dei servizi sociali, socio-sanitari ed educativi ed in particolare la distinzione tra organizzazioni a legami deboli e organizzazioni a legami forti. Riferendosi ai servizi socio-sanitari (ed educativi) alcuni autori parlano di sistemi a legame debole (1) per indicare lo scarso collegamento tra le diverse parti del sistema. … non c’è relazione forte, certa e predeterminata tra input e risultato … il grado di prevedibilità che caratterizza i legami “forti” è tipico, ad esempio, della fabbrica dove un operaio ha un effetto “certo” su alcune operazioni in una catena di montaggio. In ambito socio-sanitario abbiamo legami deboli perché il comportamento di un operatore può comportare risultati diversi in persone diverse e, addirittura, risultati diversi nelle stesse persone a seconda del momento. Da tutto ciò ne consegue che gli operatori socio-sanitari, anche se devono sottostare a procedure e norme vincolanti, hanno un margine di autonomia molto elevato nella loro attività … Nessun dirigente potrà mai imporre davvero un progetto ai proprio operatori sociali … il tipo di leadership esistente all’interno delle organizzazioni a legami deboli è dunque assai diverso da quello in organizzazioni a legami forti. Non di rado, ad esempio, si osserva che formalizzazioni premature e i protocolli d’intesa realizzati a seguito di accordi politici tra i vertici delle organizzazioni, e non di condivisioni e intese sulle pratiche di lavoro degli operatori, si scontrano con inerzie e resistenze.
Da queste precisazioni scaturiscono alcune indicazioni di ordine pratico:
• in merito ai processi decisionali occorre fare il passaggio dalla razionalità gerarchico-lineare (basata sulla presenza di un centro decisionale che decide il percorso da seguire) alla pianificazione strategico-partecipativa, cioè ad un modello decisionale che lavora non tanto alla soluzione dei problemi bensì alle condizioni che ritiene possano favorirla, condizioni che promuovano modalità di interazione più efficace (in particolare sviluppando livelli comunicativi, di connessione e di coordinamento tra gli attori sociali, di dialogo continuo). L’idea di fondo è che nel lavoro sociale, le soluzioni, più che il prodotto di un processo razionale, siano il risultato di una buona interazione tra le parti in gioco. In questo senso l’approccio da sviluppare è eminentemente ecologico (2), punta cioè a coltivare le risorse di ogni persona, a rispettare la diversità e nello stesso tempo mantenere una coesione globale in modo che le persone possano agire insieme per un obiettivo comune.
• bisogna mettere in conto specifiche attività di team building, quali ad esempio percorsi di formazione congiunta in cui si coniughino l’approfondimento degli aspetti tecnico-metodologici e procedurali, con la costruzione di momenti di riflessività e di condivisione del senso dell’agire finanche ad arrivare momenti di vera e propria convivialità. Tali percorsi permettono inoltre di costruire dal basso linguaggi comuni, condivisi, univoci. Se la produzione scientifica nazionale ed internazionale facilità la costruzione di una tendenziale omogeneità di significati nella concettualizzazione dei bisogni dei minori, molto meno chiaro è il linguaggio che si riferisce al panorama dei servizi e degli strumenti di intervento.
• bisogna considerare la dimensione geografico/settoriale, puntando a favorire percorsi di confronto e avvicinamento innanzitutto tra quegli operatori che anche sul piano operativo sono impegnati verso i medesimi utenti/beneficiari. In quest’ottica la costruzione di micro-équipe territoriali che vedano il coinvolgimento degli operatori sociali, sanitari, educativi, culturali e sportivi, religiosi, … che operano nel medesimo “quartiere”.
• Occorre mettere in conto l’individuazione e valorizzazione dei piccoli gruppi spontanei che nascono al di fuori di canali formali. Occorrerebbe articolare la rete formale a partire da questa “geografia informale” (cd. mappa delle relazioni interpersonali).
• Occorre infine tenere presente la necessità di accompagnare il sistema con un’adeguata supervisione esterna che favorisca l’individuazione e il superamento di nodi-relazionali e aiuti l’équipe/gruppo/rete ad riflettere su se stessa e a saper evolvere positivamente.

(1) Weick K.E. (1976), Le organizzazioni scolastiche come sistemi a legame debole, in Zan S. (1988), Logiche di azione organizzativa, Il Mulino, Bologna; Zan S. (1992), Organizzazioni e rappresentanza, La Nuova Italia Scientifica, Roma.
(2) Si prende a riferimento la “comunicazione ecologia”, metodo, ideato da Jerome Liss, tenta di trovare un equilibrio tra bisogni individuali e crescita della totalità. In particolare si affrontano le metodologie fondamentali per la creazione di una comunicazione democratica nel gruppo.


SPUNTI PER IL CONFRONTO
Quanto e come il metodo della pianificazione strategico-partecipativa è praticato in seno ai servizi socio-sanitari pubblici? E in seno al Terzo Settore? E in seno alla rete pubblico-no profit?
Quali le riflessioni, le buone prassi e i nodi sperimentati nell’ambito:
o del team building?
o delle micro-équipe (micro-gruppi, micro-reti) territoriali?
o dell’individuazione e valorizzazione dei piccoli gruppi spontanei?
o della supervisione esterna?
Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
 
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Re: 8. ASSETTI ORGANIZZATIVI DEL NETWORK “FORMALE & INFORMAL

Messaggioda ELISABETTA GIULIANI » 27/03/2013, 9:11

La Provincia di Roma ha scelto, nella realizzazione del Piano Provinciale Poli Affido avviato nel 2003, il metodo della “costruzione partecipata”: il percorso di costruzione è nato dal confronto con gli operatori, assistenti sociali e psicologi dei Comuni, delle ASL e di alcune associazioni attive nella tematica dei minori in difficoltà, nonchè dalla condivisione delle procedure operative attraverso periodici incontri sul territorio promossi e coordinati dai tecnici dell’Ufficio Giovani e Minori. In questo modo si è arrivati, nel corso del 2004/2005, alla costituzione di sei Poli Affido interdistrettuali, ciascuno rispondente alle caratteristiche specifiche e alla storia del territorio. Ci si è resi conto di come la forte diversità geografica e territoriale della provincia di Roma fosse un elemento centrale da considerare nella realizzazione del Piano.
Non si è quindi voluto calare dall’alto un modello precostituito pur dando, attraverso “Linee Guida provinciali sull’affido”, una cornice omogenea di indirizzo operativo.
A distanza di alcuni anni riteniamo che tale scelta sia stata incisiva anche perché ha puntato sulla valorizzazione dell’aspetto motivazionale e del coinvolgimento attivo degli operatori nel percorso di costruzione dei Poli Affido, garantendo una buona stabilità di tali servizi.
Sarebbe interessante un confronto con altre istituzioni pubbliche che hanno sperimentato l’attivazione di servizi affido.
ELISABETTA GIULIANI
 
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Re: 8. ASSETTI ORGANIZZATIVI DEL NETWORK “FORMALE & INFORMAL

Messaggioda MICHELA BONDARDO » 17/04/2013, 12:02

Il Comune di Milano ha realizzato come capofila nel corso degli anni 2010-2012 un progetto “Promuovere e sostenere reti per l’affido nel Comune di Milano” in collaborazione con diversi enti del Privato Sociale.
Uno degli obbiettivi era mettere a sistema un modello di intervento a rete pubblico-privato che fosse nello stesso tempo processuale ed anche incrementale .
Le risultanze del confronto tra Comune di Milano e i partner del Terzo Settore sono state tenute presenti per la definizione delle Linee di indirizzo per lo sviluppo ed il riordino del sistema di affidamento a terzi di interventi integrativi di supporto psico-socio-educativo agli affidi per il periodo 1 gennaio 2013 – 31 dicembre 2015, approvate con deliberazione di giunta .
Il documento programmatico sviluppa infatti, sia negli obbiettivi che nelle indicazioni operative per il triennio 2013-2015, alcuni dei cambiamenti positivamente introdotti dal progetto.
Gli obbiettivi individuati sono :
- Costruire intese interistituzionali stabili e connessioni permanenti col Sistema giudiziario e Socio-sanitario, col sistema dei Servizi educativi.
- Sviluppare una cultura diffusa dell’accoglienza familiare attraverso forme diverse, dalle più informali e spontanee alle più complesse, come elementi di sensibilizzazione e contaminazione tra esperienze molteplici di coesione sociale e cittadinanza attiva.
- Consolidare il modello di intervento a rete pubblico-privato sociale promuovendo sinergie anche con il privato/privato se socialmente orientato alla coesione sociale, ma sempre a forte regia del Comune di Milano.
- Costruire e coordinare un Tavolo Affido cittadino, permanente, aperto a imprese sociali e associazioni di famiglie impegnate per l’affido con compiti consultivi e di studio e confronto costante in particolare sulle strategie e azioni di comunicazione e diffusione della cultura e delle facilitazioni per diffondere l’accoglienza familiare.
-strutturare e sviluppare percorsi multidisciplinari di sostegno alle famiglie d’origine che consentano rientri più veloci o la definizione più chiara della possibilità di mantenimento dei legami parentali.
- Consentire processi di sperimentazione continua di nuove forme di affido e accoglienza rispondenti ai mutamenti sociali in essere consolidando in particolare i supporti socio.educativi agli affidi.
Dall’attuazione della sperimentazione sono derivate delle indicazioni operative generali:
. Promozione di intese con il Settore Educazione ed il Settore Diritto allo Studio per azioni di sensibilizzazione interna e per il riconoscimento degli affidatari come risorsa con specifiche facilitazioni nell’accesso ed utilizzo dei servizi di questa area.
. Conferma dell’assetto organizzativo all’ente, Servizio Coordinamento Affidi, e suo potenziamento anche tramite forme di collaborazione con il terzo settore.
. Definizione dei criteri di accesso, funzionamento e coordinamento del Tavolo Cittadino dell’Affido per la consultazione ed il confronto continuo sulle attività istituzionali,professionali e soprattutto culturali per una connessione costante con la cittadinanza attiva.
. Valorizzazione degli affidatari/e con incremento mirato dei supporti economici, socio-educativi, organizzativi e della loro visibilità cittadina.
. Consolidamento dell’uso del Patto di Affido come strumento e luogo di ricomposizione delle istanze dei soggetti coinvolti, famiglia d’origine, famiglia affidataria e affidato, per il miglior supporto al minore.
. Potenziamento delle competenze relazionali e di valutazione delle differenti situazioni familiari degli operatori del sistema dei servizi.
A.S. Michela Bondardo Coordinamento affidi Comune di Milano
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