5. LA SOLITUDINE DEGLI OPERATORI SOCIALI

La crisi relazionale post-moderna e la dimensione comunitaria del lavoro sociale e del volontariato; la promozione della solidarietà familiare, il radicamento territoriale e la condivisione dei bisogni; il lavoro di rete formale e informale: visione olistica e approccio ecologico; i tessitori naturali delle reti; la supervisione “esperta” delle reti.

ESPERTI COINVOLTI: Alfonso Pepe, Associazione Progetto Famiglia Avellino; Luigi e Anna Piccoli, Ass. Il Noce di Casarsa della Delizia (PN); Elisabetta Giuliani, Servizio Affidi della Provincia di Roma; Giorgio Marcello, Dipartimento di Sociologia dell’Università di Cosenza; Giancarlo Cursi, Pontificio Ateneo Salesiano di Roma; Nicoletta Goso, Movimento Famiglie affidatarie e solidali, Roma; Antonella Pontillo, Associazione Progetto Famiglia Benevento; ...

.

5. LA SOLITUDINE DEGLI OPERATORI SOCIALI

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 08/03/2013, 21:51

Negli ultimi anni il sistema dei servizi è attraversato da tendenze divergenti in cui i vari sussulti positivi sono spesso vanificati da frenate, retromarce, … Lo scenario complessivo dei servizi sociali per i minori e la famiglia (e dei servizi sociali in genere) si mostra a macchia di leopardo. Spostandosi anche di pochi chilometri si passa da zone di eccellenza, in cui i diritti sociali sono effettivamente tutelati a zone di deserto totale, segno di quella inefficienza, inefficacia e iniquità di cui parlano Donati e Colozzi (1).
La rete, di cui tanto parlano la legge 328/00 e le varie norme e indicazioni nazionali e regionali degli ultimi anni, appare smagliata, sfilacciata, spesso incapace di trattenere/accogliere/tutelare. Se il sistema non funziona, se la rete è slabbrata, gli operatori sociali finiscono con l’essere anch’essi inaffidabili. Un’inaffidabilità che scaturisce non da incompetenza ma dalla solitudine professionale e dalla mancanza di strumenti sistemici di intervento. Il documento introduttivo di un convegno realizzato dal CISMAI (2) nel dicembre 2012 parla del “pianto dell’operatore” nel far riferimento alla solitudine professionale che soggiace a molta parte del lavoro e delle decisioni (spesso difficili e connesse a bisogni complessi e contrastanti) cui gli operatori sociali sono costretti. Si tratta di una solitudine multifattoriale: insufficienza degli organici (3), precarizzazione contrattuale degli operatori sociali, scarsa integrazione istituzionale, …

(1) Colozzi I., 2005, La sussidiarietà nelle politiche sociali, in Donati P., Colozzi I., (a cura di), La Sussidiarietà. Che cos’è e come funziona, Carocci Editore, Roma.
(2) CISMAI – Coordinamento Italiano dei Servizi per il Maltrattamento e l’abuso all’infanzia. Il convegno è stato promosso dal CISMAI Campania ed ha avuto luogo a Pagani (SA) il 5 dicembre 2011.
(3) Il CISMAI, riunito a Taormina nel 2009 per gli stati generali del maltrattamento all’infanzia denunciava come «il sistema di prevenzione e protezione dei bambini (…) sia gestito da un numero del tutto insufficiente di operatori» il che «rende i pochi operatori più vulnerabili nella gestione, spesso solitaria, di tantissimi casi» (citazione tratta da Italia agli ultimi posti per professioni sociali di cura e tutela dell’infanzia, Redattore Sociale Minori, 18.06.2009).

SPUNTI PER IL CONFRONTO

Il numero di “casi” presi in carico, permette agli operatori sociali di svolgere in modo adeguato il loro ruolo. Quanto tempo gli operatori sociali possono dedicare a ciascuno dei “casi” di loro competenza?

Il carico di lavoro e il numero e la tipologia degli operatori permettono di svolgere in modo adeguato il lavoro d’équipe sui casi?

Quanti sono gli operatori sociali che operano nei servizi pubblici in virtù di un contratto di collaborazione a progetto, per sua intrinseca natura precario? Quanto la discontinuità degli incarichi e l’elevato turn over degli operatori impediscono la costruzione di quella sintonia relazionale, conoscitiva, concettuale, metodologica, procedurale, … che funge da premessa necessaria affinché la collaborazione tra operatori abbia luogo?

Il sistema di protezione dell’infanzia e della famiglia, complesso, multi-disciplinare ed inter-istituzionale, soffre di forti difficoltà di integrazione, a vari livelli.

Quali sono le difficoltà di integrazione istituzionale ed economica tra i diversi enti in gioco?

Con quali accortezze si potrebbe ridurre la solitudine degli operatori sociali? Una risposta adeguata potrebbe essere l’istituzione, nei Servizi, di gruppi di condivisione e accoglimento dei vissuti emotivi?
Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
 
Messaggi: 29
Iscritto il: 05/03/2013, 20:13

Re: 5. LA SOLITUDINE DEGLI OPERATORI SOCIALI

Messaggioda ROBERTA DEIANA » 16/04/2013, 12:04

La qualità e l’efficienza del lavoro sociale in un determinato territorio è proporzionale anche a quanto le amministrazioni di quel territorio sono disposte ad investire in questo settore. Gli interventi sociali di qualità costituiscono un importante indicatore di civiltà di un paese o di un suo territorio, purtroppo spesso sono trascurate dai politici locali perché si ritiene diano poca visibilità al loro operato rispetto ad interventi in altri settori.
Cambiare in meglio la vita di un bambino, di una famiglia, di una collettività grazie al lavoro attento e coordinato di operatori sociali con il contributo dei cittadini sensibilizzati, incoraggiati e sostenuti ad un’opera di solidarietà familiare, è meno eclatante e i risultati richiedono tempi più lunghi di un mandato elettorale, pertanto è meno “spendibile”, in campagna elettorale, rispetto ad altri interventi pubblici, secondo le più diffuse logiche politiche attuali.
E’ forse anche per questo che il livello di efficacia degli interventi in un settore delicato come quello dell’affidamento familiare, che richiede molta competenza ma anche un lavoro coordinato di operatori sociali di diverse professionalità e di diversi servizi, è così differente da territorio a territorio. Investire su un numero congruo di operatori, che non siano precari è certamente la base indispensabile per un lavoro di rete di qualità, ma il livello politico può svolgere un ruolo importante anche per migliorare il lavoro delle risorse sociali di un determinato territorio.
Alla Provincia di Roma abbiamo avuto l’esperienza di come un assessore sensibile alle tematiche dell’affido, competente e molto presente nel territorio abbia potuto svolgere un’importante opera di sensibilizzazione con gli amministratori di Comuni, Distretti ed ASL favorendo l’operato degli assistenti sociali e psicologi già presenti nel territorio.
Il ruolo di Ente intermedio della Provincia ha permesso di progettare la costituzione di sei equipes interdistrettuali (i Poli Affido) composte da operatori dei Comuni e delle ASL.
Il livello politico dell’Ente ha fatto si, grazie al dialogo e alla mediazione con gli amministratori locali, che si potessero formare queste equipes e si potessero reperire spazi sia fisici (uffici), sia di tempo di lavoro per gli operatori dei Poli (già impegnati presso gli Enti di appartenenza), creando basi concrete per un lavoro di rete tra i servizi, sia pubblici che del privato sociale, nonchè per una buona integrazione sociosanitaria.
Bisogna aggiungere che questo tipo di intervento politico istituzionale (che in quasi tutti i territori ha inciso positivamente sulla creazione di una rete evitando o limitando il lavoro in solitudine di operatori che, per quanto motivati, sono cronicamente oberati di lavoro), non è stato purtroppo incisivo in quei distretti con un numero estremamente esiguo di operatori territoriali.
ROBERTA DEIANA
 
Messaggi: 2
Iscritto il: 18/03/2013, 12:26
Località: Assistente sociale, Ufficio Minori Provincia di Roma


Torna a Laboratorio 3 (NON ATTIVO) - Affido, cultura dell’accoglienza, empowerment comunitario, lavoro di rete [dal 10.3.2013 al 10.5.2013]

cron