1. ACCOGLIENZA, RELAZIONI SIGNIFICATIVE, M.O.I., RESILIENZA

L’accoglienza (sia in affido familiare che in comunità) come offerta di relazioni significative; accoglienza, ristrutturazione dei Modelli Operativi Interni (MOI) e fattori di resilienza; gli “standard affettivi” delle comunità con famiglia residente e delle comunità con operatori turnanti; la tutela della continuità degli affetti dei minori in affido e in comunità.

ESPERTI COINVOLTI: Liviana Marelli, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza; Valter Martini, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII; Veronica Pelonzi, Comune di Roma, CNSA – Coord. Nazionale Servizi Affidi; Giulia Palombo, area Comunità Familiari della Federazione Progetto Famiglia; ...

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1. ACCOGLIENZA, RELAZIONI SIGNIFICATIVE, M.O.I., RESILIENZA

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 09/03/2013, 6:11

La legge 149/01 nel modificare la legge 184/83 ha integrato l’elenco dei compiti degli affidatari (e, per analogia, delle comunità educative) aggiungendo alle già previste funzioni di «mantenimento, l’educazione, l’istruzione», anche il compito di assicurare al minore «le relazioni affettive di cui egli ha bisogno» (art. 2, comma 1). Così facendo il legislatore ha inteso evidenziare lo “specifico relazionale” delle forme di accoglienza familiare (affidamento familiare o inserimento in comunità educativa), atteso che le altre funzioni sarebbero potute essere assolte anche dagli istituti educativo-assistenziali che si è invece scelto di “superare” entro il 31.12.2006 (art. 2, comma 4), cosa che è poi effettivamente avvenuta.
Si è quindi introdotto, nel quadro delle norme che regolano la tutela minorile, quell’ampio filone di ricerca e riflessione psico-pedagogica che nel tempo ha dato adeguata evidenza al profondo bisogno che bambini e ragazzi hanno di poter intessere relazioni significative con adulti positivi, che permettano loro di sperimentare attaccamenti affettivi funzionali e sperimentare una «base sicura» (1). In quest’ottica l’accoglienza familiare può configurarsi come potenziale “fattore di resilienza” (cioè come un’esperienza che permette a ragazzi segnati da esperienze di disagio e deprivazione, di sviluppare, se adeguatamente sostenuti, nuove energie per le situazioni sfavorevoli), e di “ristrutturare” il proprio M.O.I. (Modello Operativo Interno) e la connessa immagine che i minori (e le persone tutte) hanno di se stessi, degli altri, del mondo. Come sostiene anche G. Cambiaso «se riteniamo infatti, che nella maggior parte dei casi, uno dei danni più pesanti ricevuto dal bambino nella sua famiglia d’origine sia quello di non aver potuto sperimentare una relazione d’accudimento supportiva e rassicurante, è proprio nel risanamento di questa carenza che consiste la principale funzione della famiglia affidataria e/o dei nuovi punti di riferimento adulti incontrati dal minore, in grado di fornire cure e protezione adeguate e promuovere la riparazione».

(1) Bowlby J. (1988), A Secure Base: Clinical Applications of Attachment Theory, Routledge, Londra.

SPUNTI PER IL CONFRONTO
Nella progettazione dei percorsi di accoglienza, quali sono gli indicatori da tener presenti per scegliere il “luogo” (in affido o in comunità? In quale affido? O i quale comunità?) maggiormente abbinabili ad un determinato minore, cioè più adatti ad offrire risposte adeguate ai suoi specifici bisogni psico-affettivo-relazionali? Quali fattori di protezione sono più facilitanti il processo di resilienza? Quali invece lo ostacolano?
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Re: 1. ACCOGLIENZA, RELAZIONI SIGNIFICATIVE, M.O.I., RESILIE

Messaggioda Rossna Ragonesse » 30/03/2013, 18:38

Parlo in base alla mia esperienza di genitore affidatario (ho figli naturali, adottivi ed in affido) e di Consulente Familiare operante nell'ambito dell'adozione ed affidamento
Come indicatori da considerare ritengo importanti:
- L’età del minore: se adolescente valutare soprattutto le esperienze pregresse e le possibilità di "sostenere"il ritmo e le regole di una vita in famiglia (fermo restando che il modello "famiglia" e le relazioni famigliari sono una risorsa);
- la eventuale pregressa permanenza in comunità; il rapporto con le regole;
- le risorse e le caratteristiche degli affidatari (flessibilità e apertura, presenza di altri figli e di quale età)

Quali fattori di protezione sono più facilitanti il processo di resilienza? Quali invece lo ostacolano?
Fattori facilitanti la resilienza:
- Offrire un legame affettivo solido e sicuro, ossia: figure genitoriali forti, che siano una base sicura, un modello di relazione familiare, un modello di legame che il minore possa incamerare e "tirare fuori" nella vita al momento opportuno; un modello di genitori disposti a non cercare gratificazioni nel minore e nei risultati dell'affidamento ma ad essere roccia di ancoraggio gratuita, “a perdere
- Sostegno alla famiglia affidataria durante tutta la durata dell'affido; accompagnamento costante di un'èquipe di sostegno in cui sia presente la figura del Consulente Familiare come coordinamento e riferimento di tutta l'azione progettuale. Segnalo come interessante a quesro proposito il progetto "Prendimi in affetto" che ho visitato realizzato dall’Istituto Palazzolo delle Suore Poverelle di Bergamo e Brescia: http://www.prendiminaffetto.it/prendimi-in-affetto/il-progetto.html
- Preparare situazioni per la semiautonomia in vista del raggiungimento della maggiore età ed in relazione della conclusione dell'affido

Ostacoli:
- lasciare sola la famiglia affidataria rende fragile la base sicura e difficle la relazione familiare, quindi ostacola la resilienza
Consulente Familiare, Sostegno alla genitorialità adottiva e affidataria, Insegnante - Arezzo
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ACCOGLIENZA, RELAZIONI SIGNIFICATIVE, M.O.I., RESILIENZA

Messaggioda CegliaADV » 02/04/2013, 16:43

Nella progettazione dei percorsi di accoglienza, quali sono gli indicatori da tener presenti per scegliere il “luogo” (in affido o in comunità? In quale affido? O i quale comunità?) maggiormente abbinabili ad un determinato minore, cioè più adatti ad offrire risposte adeguate ai suoi specifici bisogni psico-affettivo-relazionali? Quali fattori di protezione sono più facilitanti il processo di resilienza? Quali invece lo ostacolano?

Come psicologa, posso evidenziare che l'inserimento in comunità educativa è quasi sempre necessario se c'è un allontanamento dalla propria famiglia, per condizioni di grave pregiudizio. Il passaggio diretto da famiglia d'origine a famiglia affidataria è quasi sempre insostenibile affettivamente per il minore e anche il confronto tra riferimenti tanto diversi, può essere troppo destabilizzante. Il tempo di questa permanenza dovrebbe però essere limitato, affinchè appena possibile, se non è di fatto ancora il momento di un rientro a casa, si proceda con un affido eterofamiliare. Purtroppo spesso si assiste ad un'eccessiva permanenza dei minori in comunità, considerato un contesto più sicuro, non a rischio di fallimento, con operatori specializzati. Si arriva spesso a pensare all'affido dopo un tempo lungo, quando il bambino ha superato l'età scolare e si affaccia alla preadolescenza, periodo indubbiamente molto delicato.
Senza dubbio, essere inseriti in un contesto familiare accudente, sicuro, risanante e normativo permette al bambino di strutturare nuovi riferimenti e di apprendere nuovi modelli relazionali più funzionali. Anche le regole, così faticosamente accettate all'inizio, permettono al minore di confrontarsi in modo più corretto anche con i contesti extrafamiliari. Ovviamente è molto importante che la famiglia affidataria rispetti comunque la storia del bambino, i suoi genitori, la sua appartenenza e non si posizioni "sul piedistallo", ma con presenza umile ma forte. I genitori affidatari devono indubbiamente essere sostenuti in questo difficile ruolo, così il minore e la famiglia d'origine che, nella nostra esperienza, quando le cose funzionano, impara anche dal proprio figlio un modo nuovo di stare al mondo e approcciare la vita. Un'ultima riflessione è se sia più opportuno un abbinamento con coppie con figli o senza, di bambini particolarmente deprivati: spesso si crede che una coppia senza figli possa garantire tutte le attenzioni e le cure che sono sempre mancate, sottovalutando il grande aiuto che la presenza di bambini di età simile potrebbe dare. I bambini crescono imitando anche i propri pari e spesso importanti passaggi evolutivi sono fatti, grazie alla presenza del modello semplice costituito dai figli naturali.
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Re: 1. ACCOGLIENZA, RELAZIONI SIGNIFICATIVE, M.O.I., RESILIE

Messaggioda CAROLINA ROSSI » 02/05/2013, 11:01

Credo fortemente nelle possibilità che derivano dall’offrire a ciascun essere umano, che sia bambino o anche adulto, grembi caldi e accoglienti che “vedono”, “incontrano”, si sintonizzano, "ristorano", contengono, “rassicurano”, generano ... nella relazione…, promuovendo autonomia, sicurezza, buona autostima… insomma una nuova opportunità di ESISTERE!
Penso vi siano delle riflessioni da fare a partire dalla sollecitazione di Cambiaso intorno alla possibilità, offerta dai “nuovi incontri” (siano esse figure di riferimento di comunità o di famiglia affidataria) rispetto al “risanamento”/riparazione delle carenze legate alla mancanza di relazioni familiari e di attaccamento supportive e rassicuranti, ….
Concordo con questo pensiero che per fortuna non è più solo tale, scientificamente infatti è dimostrato che a fronte di eventi/situazioni difficili in cui imperversano vissuti ed esperienze di trascuratezza e/o violenza, solitudine, paure, rabbia, disorientamento si può e, quindi, si deve lavorare per aiutare bambini ed adulti non solo a “resistere” ma anche a “ricostruire” la propria dimensione, il proprio percorso di vita, trovando una nuova chiave di lettura di sé, degli altri e del mondo, scoprendo una nuova forza per superare le avversità.
Occorre però che noi operatori innanzitutto, e poi le famiglie, impariamo a farci “artigiani di relazioni”, perché la possibilità di ri-significare le esperienze finanche a farle divenire attivatrici di un nuovo modo di pensare/realizzare sé nel mondo, a partire dalla possibilità di incontri autentici, ha a che fare con processi che sono fondamentalmente individuali, si costruiscono nella persona in base alla personalità, ai modelli relazionali e di attaccamento sperimentati precedentemente e agli eventi di vita vissuti, pertanto il processo di resilienza si realizza differentemente in ciascuno… Non esiste un modo per aiutare tutti alla stessa maniera!
La novità, la nostra responsabilità, ma anche la possibilità derivano dal fatto che la “resilienza” si apprende! E ovviamente si apprende non da libri, ma dalle nuove esperienze! Noi siamo operatori che possono e devono avere cura delle esperienze che “riparano”, abbiamo una possibilità ma anche e soprattutto la responsabilità di averne cura e di far sì che ciò possa realizzarsi.
Quanti adulti e quanti bambini troppo precocemente hanno costruito un’idea di sé come incompetenti, incapaci, immeritevoli di amore e di attenzioni! E a partire da questo, per quanti ragazzi e ragazze che hanno sperimentato separazioni, allontanamenti, abbandono, rifiuto, incontrare qualcuno che le “veda” e le “in-contri” nei propri bisogni, le accolga, a fronte di esperienze pregresse di rifiuto non attiva automaticamente ed immediatamente risanamento! “Vedere” in tal senso, a mio avviso, sia per noi operatori che per le famiglie accoglienti significa essere pronti innanzitutto noi e, nel caso in cui non lo siamo, prepararci a vedere anche il bisogno di bambini ed adulti in difficoltà di diffidare, di mettere alla prova, di smantellarsi e smantellare prima di ricostruire. Non possiamo e dobbiamo fermarci o arrenderci ai primi segnali di difficoltà!
L’invito che rivolgo alla nostra comunità di operatori e a me stessa in primis è quello di riuscire a custodire dentro, sempre, noi innanzitutto, una “meta-visione” che orienta i passi e li sostiene, anche nei momenti bui, una visione superiore che permette di accogliere e fronteggiare le crisi, evolutive, come espressione di un bisogno che permette poi di poter approdare a nuove possibilità di essere. Il vissuto delle famiglie e dei bambini, ma anche il nostro, sovente è di profonda paura e disorientamento, quindi diffidenza. Una diffidenza che va accolta, “com-presa”, di cui bisogna prendersi cura affinchè evolva in fiducia ed affidamento, … nuova appartenenza. Diversamente il rischio che corriamo è che famiglie e ragazzi, che ovviamente arrivano con una serie di chiusure, se non lette adeguatamente, possono anziché attivare riparazioni, farsi attivatrici di nuove chiusure e rotture, anche nelle famiglie accoglienti, fino al reiterarsi di nuove esperienze di allontanamento e abbandono, ulteriormente traumatiche, sommando trauma a trauma, irrimediabilmente.
CAROLINA ROSSI
 
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