3. L’AFFIDO NON SEPARA: L’ACCOGLIENZA FAMILIARE DIURNA

La dimensione preventiva dell’affido; l’accoglienza familiare diurna, il tutoraggio scolastico, l’animazione familiare, …; i percorsi di inclusione sociale delle famiglie e le sperimentazioni nel campo della prevenzione degli allontanamenti e del “potenziamento” delle capacità genitoriali (progetto P.I.P.P.I. ed altri).

ESPERTI COINVOLTI: Ombretta Zanon, Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova; Marianna Giordano, CISMAI Campania; Maria Claudia Paraguai, Centro Studi Sociali sull’Infanzia e l’Adolescenza di Scerne di Pineto (TE); Pilar Columbu, coordinamento UBI Minor Toscana; Maririna Tuccinardi, area welfare ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani; ...

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3. L’AFFIDO NON SEPARA: L’ACCOGLIENZA FAMILIARE DIURNA

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 09/03/2013, 2:37

L’articolo 1 della legge 184/83 e ss.mm. afferma con chiarezza che prima di giungere all’allontanamento del minore dal suo nucleo familiare, occorre realizzare tutti gli interventi possibili di sostegno alla famiglia per permettere il superamento delle difficoltà senza interrompere la convivenza del figlio. Molto eloquente il primo comma: «il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia». Cosa si fa concretamente per tutelare tale diritto?
Uno degli indicatori che può offrire la misura della ridotta attenzione data a questo aspetto è il numero degli affidamenti diurni, espressione “ultima” (dal punto di vista logico e cronologico) dell’ampia scala dei possibili interventi di sostegno alla famiglia di origine, nel quale pur giungendo alla decisione di individuare “figure adulte integrative di quelle genitoriali”, si punta a far ciò senza allontanare il minore. Purtroppo la recente indagine del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali non ha affatto esplorato il mondo degli affidamenti diurni.
Infatti il principio dell’aiuto alla famiglia di origine, pur essendo sempre valido, per gli affidamenti residenziali è spesso (ed è una grave omissione) trascurato e messo in ombra dal preminente lavoro sul minore e sul contesto che lo accoglie, cioè sulla famiglia affidataria. Le “accoglienze” diurne, invece, caratterizzate dal quotidiano contatto del minore con le due famiglie - quella naturale e quella affidataria - richiedono necessariamente un significativo lavoro su entrambi i contesti familiari: un lavoro a favore del bambino, senza smettere di sostenere la famiglia di origine. Viene in soccorso un’indagine realizzata da Progetto Famiglia nella primavera del 2009 in Campania, la quale ha messo in luce che su 24 ambiti territoriali studiati (poco meno della metà del territorio regionale) solo 2 avevano attivato percorsi di affidamento diurno, cioè solo l’8% . Senza voler prendere la Campania a riferimento generale, certo occorre rilevare che in molti territori si passa direttamente dal “sostegno alla genitorialità” all’intervento di “allontanamento del minore”, saltando la preziosa forma intermedia degli affidamenti part-time. E questo nonostante che la quasi totalità dei regolamenti e delle linee di indirizzo regionali prevedano esplicitamente questa forma di intervento.

[b]SPUNTI PER IL CONFRONTO[/b]
Cosa blocca i servizi e gli operatori sociali nella promozione dell’affidamento part-time e delle altre forme di accoglienza familiare diurna (tutoraggio scolastico, animazione familiare, …)?
La realizzazione di affidi diurni, pur non comportando il trasferimento del minore presso gli affidatari, abbisogna ugualmente delle medesime attività di abbinamento e progettazione educativa individualizzata che si prevedono per gli affidamenti residenziali?
Quali i punti di forza e i fattori di rischio specifici degli affidamenti familiari part-time? Quali le esperienze e le buone prassi da portare all’attenzione generale? Come fronteggiare i rischi?
Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
 
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Re: 3. L’AFFIDO NON SEPARA: L’ACCOGLIENZA FAMILIARE DIURNA

Messaggioda MARIANNA MURA » 23/04/2013, 9:53

L’affidamento familiare diurno e parziale permette il supporto del minore e della sua famiglia in difficoltà, senza allontanarlo da casa, offrendogli un appoggio quotidiano o comunque significativo nell'arco della settimana, tale da garantirgli un importante riferimento educativo ed affettivo, utile nel suo processo di crescita. Allo stesso modo l’instaurarsi di relazioni positive tra la famiglia naturale e la famiglia affidataria o l’affidatario rappresenta un’opportunità per tutti i soggetti coinvolti. L’affidamento diurno ha alcune caratteristiche peculiari: vicinanza territoriale: deve mantenere il minore nel proprio ambito di vita e di relazioni sociali (scuola, parenti, amici, ecc.); regolarità: deve prevedere tempi e luoghi stabiliti ed organizzati durante la settimana, in modo da offrire un punto di riferimento significativo al minore ed alla sua famiglia; continuità: deve consistere in un intervento che si protrae per un tempo significativo che permetta alla famiglia del minore il superamento delle sue difficoltà e che permetta altresì l’instaurarsi di un rapporto di fiducia e di collaborazione tra le due famiglie; affiancamento alle figure genitoriali: gli affidatari accompagnano e sostengono il minore e la sua famiglia riconoscendo a quest’ ultima il proprio ruolo genitoriale a tutti gli effetti. Anche con l’affido diurno è fondamentale curare l’abbinamento minore - famiglia affidataria incastrando i bisogni e le caratteristiche del minore e della famiglia di origine con le risorse e le caratteristiche della famiglia affidataria. È quindi fondamentale decidere se una particolare famiglia è in grado di rispondere alle esigenze di un particolare minore e della sua famiglia. Bisogna tenere in considerazione che il minore verrà a trovarsi tra due realtà familiari che non possono essere simili, per ovvie ragioni, ma che non potranno essere eccessivamente distanti in quanto il minore non può vivere lo stress di rapporti intimi ed intensi con famiglie che si presentano come reciprocamente disconfermanti. È importante che non ci sia un divario notevole tra le condizioni socio-economiche e culturali tra le famiglie in quanto se il bambino deve affrontare orientamenti e valori promossi dalla famiglia affidataria troppo diversi da quelli del contesto di provenienza, è probabile che si senta smarrito e in conflitto rispetto ai valori da perseguire. Altri aspetti da avere in considerazione nell'abbinamento di un bambino ad una famiglia affidataria diurna sono le seguenti: storia del bambino e della sua famiglia, età e caratteristiche temperamentali del minore.
MARIANNA MURA
 
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Re: 3. L’AFFIDO NON SEPARA: L’ACCOGLIENZA FAMILIARE DIURNA

Messaggioda Andreoni Roberto » 02/05/2013, 6:46

Per gli affidamenti in genere, anche per i part-time occorre, come pre-condizione, un’opera di informazione e di sensibilizzazione nel contesto sociale orientato alle famiglie, come alle singole persone, per motivarle e incoraggiarle ad un intervento di accompagnamento delle situazioni di fragilità e di vulnerabilità. Talvolta nel quartiere, nell’ambiente di vita comune è percepito il disagio di minori o di intere famiglie, ma manca il coraggio personale, la strategia per aiutarle, senza creare assistenzialismi dipendenti.
I Servizi, che intendono lavorare in un’ottica sistemica, potrebbero orientare il modello di accoglienza delle problematiche educative in un’ottica di solidarietà, di condivisione della vulnerabilità e della fragilità intesa come inevitabile condizione esistenziale comune, non come una riprovevole o addirittura colpevole situazione di rischio da scampare e di cui aver paura. Da scampare semmai è la condizione di marginalità, lo stigma, fonte di sofferenza per chi, sentendosi drammaticamente escluso, rischia anche l’equilibrio psichico.
Chi fa parte di aggregazioni spontanee, delle associazioni sportive, di volontariato sociale, ma anche politiche e culturali comunque esprime una sensibilità pro-sociale. Sollecitare collaborazioni mirate, all’interno di queste esperienze già in atto, comuni a tutti gli ambienti sociali, significa coagulare un gruppo di “volontari” dedicato alla cura del benessere comune. Occorre dapprima “formare” delle “sentinelle” che rilevano le situazioni di crisi: gli insegnanti, i compagni dei minori che possono venire a conoscenza e informare gli adulti di situazioni problematiche vissute da alcuni di loro, i vicini di casa, ecc. Poi ci deve essere un collettore delle informazioni, un ambiente (Servizi sociali e/o il Privato sociale) che accolga e attivi una possibile risposta ai bisogni rilevati. Questa “rete” non è automatica, va costruita e ne va fatta costante manutenzione. Nella provincia di Macerata, l’attuazione della Delib. Reg. 1216/2012 “Centri per le famiglie, quali luoghi fisici dedicati alle famiglie per garantire loro un’offerta di informazioni ed orientamento, di sperimentazione e progettazione di situazione significative”, ha visto l’organizzazione di corsi di sensibilizzazione e di formazione per famiglie solidali orientate alla cura dei minori e delle famiglie a rischio di vulnerabilità. Non con un intento terapeutico (che va lasciato ad altre professionalità) ma preventivo, di cura generosa, espressione di quella genitorialità diffusa, che può qualificare l’adulto responsabile.
Il progetto prevede l’espressione di un gruppo organizzato di singoli/famiglie disponibili all’impegno sociale che può disporre di un luogo di incontro (Centro per la famiglia) e progressivamente costruire, con i Servizi e col Privato sociale una rete significativa e costante nel tempo, fondata sulla (auto)formazione e capace di costruire un modello compartecipato di cura in cui sono coinvolti minori a rischio. Sentendosi insieme protagonisti dell’intervento di aiuto – l’affido non separa - allora ciascuno può rendersi disponibile per l’accoglienza famigliare diurna e/o per l’affido.
Andreoni Roberto
 
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Re: 3. L’AFFIDO NON SEPARA: L’ACCOGLIENZA FAMILIARE DIURNA

Messaggioda ALDA VANONI » 09/05/2013, 20:33

Il contenuto del rapporto tra affidatario e affidato.

La decisa opzione della legge 149 a favore della famiglia e' un dato da cui partono tutti gli operatori e gli studiosi della materia, non sempre peraltro chiedendosene le ragioni ne' cercando di identificare il "plus" che il legislatore annette al contesto familiare. L' esperienza in campo assistenziale ha indicato una maggiore fragilità dei ragazzi cresciuti in istituzioni convittuali, una loro più facile marginalità, una diffusa incapacità a superare la negativa situazione di partenza della loro famiglia - quella situazione che aveva appunto provocato la loro istituzionalizzazione. Il motivo di questi esiti negativi è solitamente individuato nella inadeguatezza dell'istituzione, nella sua carenza sotto il profilo educativo. Tale inossidabile giudizio nasce, storicamente, dalla realtà passata di collegi molto numerosi, con personale scarso e poco formato, pochissima apertura verso il mondo esterno, bassa qualità di vita.. senza pensare ai Celestini di Prato.
Ci si può chiedere, nell'attuale situazione in cui non esistono più (o meglio, non dovrebbero esistere più) i grandi istituti spersonalizzanti, in cui le comunità di accoglienza hanno un basso rapporto tra ospiti ed educatori e godono di buone professionalità, sono ben inserite nel contesto sociale e aperte al mondo esterno, con un controllo abbastanza stringente degli enti locali, se la preferenza decisa per la famiglia abbia ancora un significato.
Sotto il profilo dell'efficienza educativa, della capacità di indirizzare i processi conoscitivi, di comprendere le difficoltà psicologiche, di interpretare gli agiti provocatori, non e' detto che dei genitori siano meglio di ben formati educatori.
Credo che l'elemento distintivo, il plus che una famiglia può offrire sia a livello affettivo: non che gli educatori delle comunità siano incapaci o refrattari al rapporto affettivo con i ragazzi ospiti, anzi conosciamo molti esempi di educatori che sono stati presenze importanti nelle storie dei ragazzi che hanno incontrato. Ma quello che un educatore non può dare è l'offerta di un rapporto esclusivo, di appartenenza sicura a un ambito di accoglienza che, pur nella sua temporaneità, dia al ragazzo la certezza di essere "di qualcuno": "sono con te, per te; hai in me un posto, un posto che è solo tuo, ti sostengo comunque, al di là dei miei e dei tuoi errori". Il rapporto che un genitore ha con un figlio.
Cioè una apertura di accoglienza tendenzialmente totale, che abbraccia tutto l’altro, senza porre limiti: senza porre limiti di regole da osservare, di risultati da ottenere, ma anche senza porre limiti di tempo. Tendenzialmente, perché gli affidatari sono persone umane non perfette, e soffrono di limiti e incapacità: ma il giudizio deve rimanere netto, e il desiderio aperto. Senza porre limiti di regole non vuol dire non porre le regole – sono necessarie in ogni convivenza ordinata – ma vuol dire non condizionare all’osservanza della regola l’accoglienza, l’abbraccio dell’altro (“se non fai così, non ti tengo più, non sono più con te”).
Insomma, l’affidato non può essere vissuto come un ospite, o un pupillo da educare, senza offrirgli l’appartenenza alla famiglia, un posto alla pari con gli altri figli, pur nella differenza di una situazione.
Per meno di così non vale la pena di infliggere al bambino, al ragazzo la fatica di inserirsi in un contesto familiare che gli è estraneo, con abitudini diverse, richieste nuove, frequentazioni sconosciute. Se è solo per mandarlo a scuola, curare l'igiene e dargli regolarità di vita, non è detto che una buona comunità sia peggio, e creerebbe meno sconvolgimento.
Questo e' vero anche se l'affido e' a termine. La scadenza prevista e' per così dire una circostanza accidentale, che non deve toccare la qualità del rapporto offerto, l'essenza dell'accoglienza. "Io sono con te comunque, anche se te ne andrai dalla mia casa" : come con i figli che si sposano, cambiano le modalità ma rimane intatta la certezza del rapporto.
La presenza della famiglia d'origine – presenza che è la caratteristica distintiva dell’affido – non contrasta con quanto sopra detto. I ragazzi in affido vivono una doppia appartenenza, come i figli di genitori separati; è una strada non facile, ma possibile, e quando è percorsa con intelligenza dà ai ragazzi la solidità di sentirsi parte della famiglia affidataria, in cui è aiutato a crescere, e nello stesso tempo la certezza di non perdere quel tanto o poco di bene che è rappresentato dalla sua famiglia d’origine. Voler bene a un ragazzo affidato significa abbracciare, almeno tendenzialmente, come desiderio, tutta la sua storia e quindi la sua famiglia. In questa accoglienza da parte degli affidatari anche dei suoi genitori, della sua famiglia, il ragazzo potrà vivere senza eccessivi conflitti di lealtà la sua doppia appartenenza; avrà la possibilità di riconciliarsi con la parte dolente della sua storia; avrà acquisito la certezza di una risorsa stabile e duratura anche per il suo futuro.
ALDA VANONI
 
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