5. FAMIGLIE INSIEME: NO DICOTOMIA BENEFATTORI-BENEFICIARI

La dimensione preventiva dell’affido; l’accoglienza familiare diurna, il tutoraggio scolastico, l’animazione familiare, …; i percorsi di inclusione sociale delle famiglie e le sperimentazioni nel campo della prevenzione degli allontanamenti e del “potenziamento” delle capacità genitoriali (progetto P.I.P.P.I. ed altri).

ESPERTI COINVOLTI: Ombretta Zanon, Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova; Marianna Giordano, CISMAI Campania; Maria Claudia Paraguai, Centro Studi Sociali sull’Infanzia e l’Adolescenza di Scerne di Pineto (TE); Pilar Columbu, coordinamento UBI Minor Toscana; Maririna Tuccinardi, area welfare ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani; ...

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5. FAMIGLIE INSIEME: NO DICOTOMIA BENEFATTORI-BENEFICIARI

Messaggioda Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online » 09/03/2013, 2:20

C’è una frase di don Antonio Mazzi, assai significativa: «il disagio è effetto, non causa» [color=#FF0000](1)[/color]. Effetto di tanti avvenimenti e vicende ma, soprattutto, effetto della solitudine. Don Mazzi ne parla facendo riferimento ai tossicodipendenti. Si tratta tuttavia di un concetto a valenza universale e quindi applicabile anche al campo delle famiglie in difficoltà. Ad uno sguardo attento e libero da pregiudizi appare chiaro che la causa del disagio di molte famiglie è il loro essere “escluse”, e ancora prima il loro essere semplicemente “famiglie sole”. Questo ci permette di affermare che la lotta al disagio familiare e minorile è la lotta alla solitudine non solo dei bambini e dei ragazzi, ma anche delle loro famiglie. Secondo questa traiettoria l’attivazione di una rete di reciprocità tra famiglie può divenire un importante risorsa per favorire l’affrancamento dalle situazioni di disagio relazionale e sociale che investono le cd. “famiglie di origine”. Uno spunto interessante viene offerto da una pubblicazione della rete dei volontari Salesiani sul tema della solidarietà familiare[color=#FF0000] (2)[/color] nella quale si sottolinea che: «il primo passo per risolvere una situazione di disagio è aiutare ogni membro della famiglia a riconquistare la propria dignità (…) È all’interno di una relazione confidenziale tra pari, da famiglia a famiglia, che possono essere cercati ed espressi gesti e contenuti che aiutano a recuperare e favorire il protagonismo personale e familiare di chi vive in situazioni di disagio (…) Le “famiglie difficili” nel momento in cui sono considerate non utenti ma partner sono messe nella condizione di agire come soggetti sociali …».
Occorre farsi promotori di un lavoro di costruzione di spazi aggregativi permanenti tra famiglie, in micro-contesti sociali circoscritti (parrocchia, rione, ecc), finalizzati alla promozione di forme di aggregazione capaci di stimolare rapporti di fiducia, di consolidare l’appartenenza comunitaria e l’attivazione di reti di vicinanza. L’assioma di fondo è quello del superamento della dicotomia “famiglia-risorsa”/”famiglia-bisogno” (che sottende un approccio clinico) a favore di un nuovo approccio in cui più famiglie insieme si concepiscono “alla pari” e puntano a valorizzare “la relazione” aldilà delle etichette del disadattamento sociale. Un approccio “non formale” ed eminentemente preventivo, che si incentra sulla convinzione che ogni persona, anche la più disagiata o problematica, ha insito in sé un potenziale relazionale: è cioè capace di mettersi in relazione. Tale approccio è prodromo di partecipazione sociale attiva e di superamento dell’assistenzialismo e della dipendenza. Per poter incontrare veramente chi vive nel bisogno, bisogna che noi stessi si calchi il terreno del bisogno, in modo che tale suolo diventi a noi familiare e non più estraneo, e che sia “normale e spontaneo” intervenire, giacché vi si parla un linguaggio a noi noto. Questo approccio elimina atteggiamenti di beneficenza: non c’è più un “up” e un “down”, si è tutti sullo stesso livello, a scambiarsi beni e relazioni.

[i][size=85](1) Agazzo R. (2006), Elogio del somaro, San Paolo, Milano.
(2) Cursi G., Goso N. (2008), Famiglie solidali: percorsi di impegno tra disagio ed accoglienza, Federazione SCS/CNOS Salesiani per il sociale, Roma.[/size][/i]

[b]SPUNTI PER IL CONFRONTO [/b]
Famiglie Insieme, famiglie “alla pari”, famiglie “comunitarie”. Quali i punti di forza e i rischi di quest’approccio e quali le esperienze significative in questo campo?
In quale misura, a quali condizioni è possibile camminare in questa direzione?
Qual è il ruolo degli operatori professionali nella costruzione di tali percorsi?
Progetto Famiglia, coordinamento del FORUM AFFIDO online
 
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Re: 5. FAMIGLIE INSIEME: NO DICOTOMIA BENEFATTORI-BENEFICIAR

Messaggioda G.DelGiudice » 27/03/2013, 15:14

Sicuramente l'intervento volto a creare una rete di solidarietà familiare è importante. Tante volte ci troviamo di fronte a donne, in particolare madri, che portano con loro un vissuto di deprivazione che le porta a non riconoscere i bisogni dei loro bambini ma a richiedere esse stesse una sorta di "affido". Non escludo la figura maschile che quando è presente porta spesso gli stessi bisogni però poco esplicitati per condizionamenti dovuti soprattutto a modelli culturali. Il rischio con la rete di famiglie è che prevalga nelle famiglie che sostengono un'attenzione troppo centrata sui bisogni del minore, che fa perdere di vista l'evidenza di una sofferenza genitoriale che non è in se una colpa, ma una conseguenza di un vissuto negativo che si riflette nella capacità di espressione delle risorse genitoriali. L'operatore deve per questo essere una sorta di facilitatore che può consentire una comprensione delle dinamiche che sono alla base di atteggiamenti inadeguati.
G.DelGiudice
 
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Re: 5. FAMIGLIE INSIEME: NO DICOTOMIA BENEFATTORI-BENEFICIAR

Messaggioda SPERANZA » 05/04/2013, 10:11

L'ideale sarebbe, per l'operatore, avere una lista di coppie, perché no anche di single, formati ad accogliere ed aiutare il minore e la sua famiglia in stato di temporaneo disagio, cosicché la stessa famiglia in stato di disagio possa sperimentare un'esperienza di supporto e non di esclusione del suo ruolo genitoriale.
SPERANZA
 
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