La donna che non riconosce, abbandona?

La donna che non riconosce, abbandona?

Messaggioda Marisa Persiani » 17/05/2016, 16:52

Dalla mia esperienza di operatore che si è occupato per più decenni di gestanti in difficoltà, di minori non riconosciuti alla nascita e di adozione, ho tratto le seguenti considerazioni. Una donna che si trova a vivere una gravidanza non attesa ed incompatibile con la sua condizione psicologica e storica, sperimenta sempre, solitamente in condizioni di profonda solitudine, uno stato di grande angoscia, di disorientamento, di ambivalenza, di emozioni contrapposte. La possibilità di potersi avvalere della facoltà di non riconoscere quel bambino potenziale è un elemento che può consentirle di scegliere se dare continuità o meno alla gravidanza. Sempre, qualunque siano state le motivazioni che hanno determinato l’impossibilità al riconoscimento, ho potuto verificare che si è trattato di una scelta difficile e sofferta. Nelle situazioni più frequenti la donna, solitamente sola, nella consapevolezza delle proprie condizioni, dei propri limiti, dell’incompatibilità di quel progetto vita con il proprio progetto vita e dei rischi a cui esporrebbe il bambino, sceglie di affidarlo in mani più sicure. Accade così che il mancato riconoscimento anagrafico sembra rappresentare, paradossalmente, la massima forma di riconoscimento di quel bambino e del suo bisogno di vivere in una famiglia in grado di accompagnarlo nel percorso di crescita, di cui ha diritto e bisogno. Nella mia esperienza ho potuto verificare che tale scelta si manifesta con maggiore consapevolezza del valore protettivo che implica, dunque con minore sofferenza per la donna e maggiore vantaggio per il bambino, quando la gestante in difficoltà viene sostenuta, a partire dalla gravidanza, da operatori specializzati, competenti e laici. Le ricerche del neurofisiologo Mauro Mancia hanno infatti dimostrato che nel feto le funzioni sensoriali si sviluppano già a partire dal 5°, 6° mese di gravidanza, la costanza e la ritmicità sono le caratteristiche dell’interazione senso-motoria materno- fetale. “Per tutta la durata della gravidanza questo insieme di funzioni dominerà la relazione materno-fetale e permetterà alla madre di trasmettere al feto non solo gli elementi del proprio stato biologico, ma anche quelli attinenti alla propria sfera emotiva e mentale”. Una gestante che si trova in difficoltà e che viene sostenuta nella decisione se riconoscere o meno il bambino che metterà al mondo, vivrà la gravidanza in modo meno traumatico per sé e per il feto al quale potrà trasmettere il senso di protezione connesso alla scelta che farà ed il valore di averlo comunque voluto consegnare alla vita; il commiato allora, se ritenuto necessario, per entrambi potrà assumere il significato di un saluto motivato, piuttosto che di una lacerante ferita. Questa condizione, oltre a rappresentare una forma di protezione per il bambino, restituisce alla donna la dimensione di persona che ha protetto, la stima di sé viene meno pesantemente compromessa e si amplificano gli aspetti positivi del valore del “dono” della vita che è stato realizzato, rispetto alle implicazioni di giudizio connesse invece all’ immagine dell’ ”abbandono”. La tutela nei confronti di chi genera e di chi nasce deve dunque essere garantita già a partire dalla gravidanza poiché il feto subisce tutte le alterazioni delle variazioni endotimiche della madre di cui è colonia organica e, in quanto tale, spazio degli effetti psicosomatici, egli reagisce nel corpo della madre esattamente come un organo del suo corpo. Conseguentemente, come un qualsiasi organo, può ammalarsi per l’infiltrazione di emozioni negative. Tale analisi, associata alla frequenza di patologie riscontrate alla nascita in bambini dichiarati in stato di adottabilità, pone in evidenza il valore protettivo di interventi specialistici precoci, volti a sostenere le donne e a tutelare i bambini sin dalla gravidanza. Diversa invece, per gli esiti che produce nel bambino e nella madre, è la rottura di una relazione ritenuta non funzionale al sano sviluppo psico-fisico del figlio decretata da un tribunale. In questo caso il bambino può trovarsi esposto ad una relazione insicura e a condizioni di rischio, tanto più quanto il genitore non ha consapevolezza dei propri limiti. La donna, spesso, proprio per la mancanza di tale consapevolezza, è impossibilitata ad accettare il verdetto di madre “inadeguata” che dunque più facilmente contrasta, sia promuovendo nel giudizio azioni di opposizione, sia realizzando nuove gravidanze a scopo sostitutivo o riparativo. Per comprendere la complessità delle variabili che entrano in gioco è necessario esaminare alcune questioni fondamentali inerenti la genitorialità e analizzare l’evento nascita nella sua essenza, aldilà dei condizionamenti morali, culturali, ideologici o religiosi. Esiste l’istinto materno? E’ corretto distinguere la generatività dalla genitorialità e che cosa le specifica? Come si compone l’identità di un individuo? Quale ruolo gioca la codifica sociale nel significato attribuito al mancato riconoscimento da parte del genitore biologico e all’adozione? È reale il convincimento che le attuali norme a tutela di chi genera e di chi nasce siano “sbilanciate” a vantaggio degli interessi della donna?
Marisa Persiani
 
Messaggi: 2
Iscritto il: 17/05/2016, 16:49

Torna a (Convegno 2016) - Workshop 4 - La tutela sociale della maternità, il parto in anonimato, la valutazione precoce delle situazioni di rischio, il sistema dell'accoglienza delle gestanti

cron