Proposizione n° 6 - Criteri/Codici di abbinamento

Prosieguo del confronto sull'abbinamento minori/comunità realizzato da gennaio a maggio 2014 e rilanciato dal Convegno Nazionale di Studi del 15 maggio a Pompei. Per ogni argomento affrontato dal documento base del Convegno, è attivo nel presente Laboratorio un punto "ad hoc" nel quale inserire propri commenti, riflessioni, ...

Proposizione n° 6 - Criteri/Codici di abbinamento

Messaggioda admin_affido » 02/06/2014, 14:24

Istituire una commissione scientifica, inter-disciplinare ed inter-istituzionale, che lavori alla elaborazione di un primo set di criteri/codici dell'abbinamento minore/comunità.

In base a quali criteri gli operatori individuano la risposta più adatta ai bisogni dei bambini e degli adolescenti da abbinare ad una comunità? É possibile individuare alcuni principi generali ai quali fare riferimento, pur sempre evitando qualsiasi improprio automatismo?
Come detto nei paragrafi introduttivi occorre "liberare" i percorsi di abbinamento sia dal determinismo normativo e dogmatico delle "regole generali" calate in modo automatico dall'alto sia dall'abbinamento a misura dell'operatore, cioè influenzato dal portato parziale di chi progetta.
In entrambi questi casi, infatti, il minore finisce con l'essere "non visto" e quindi non tutelato.
Occorre piuttosto scommettere sulla realizzazione di valutazione che siano contemporaneamente "individualizzate sui bisogni del minore" e "basate su codici espliciti a valenza generale". L'ultima parola resta alla valutazione soggettiva dell'équipe (che dovrà decidere nel preminente interesse del minore) ma basando tale valutazione su elementi oggettivi, scientificamente fondati, comunicabili e confrontabili.

SI PROPONE l'Istituzione di una commissione scientifica inter-disciplinare ed inter-istituzionale che lavori alla elaborazione di un primo set di criteri e codici dell'abbinamento minore/comunità.

SPUNTI E APPROFONDIMENTI SUCCESSIVI. Uno degli aspetti maggiormente dibattuti, in sede di abbinamento minori/comunità, riguarda la "tipologia di relazione" che la Comunità offre ai minori accolti. A tale riguarda si riportano nell'Appendice 2 una serie di considerazioni e spunti, ...

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Appendice 2

SPUNTI DI ORIENTAMENTO PER L'ABBINAMENTO MINORI/COMUNITÀ
Sulla base delle riflessioni di cui all'appendice 1, per individuare la comunità più adatta al bambino, dobbiamo chiederci:
- di quali affetti competenti ha bisogno?
- quali sono le funzioni relazionali in grado di assicurarglieli?
- qual è l'assetto organizzativo della comunità maggiormente adatto a tale scopo?
Tutto questo ovviamente dipende da una valutazione di quali sono le difficoltà e le risorse del bambino e del suo sistema familiare (come indicato nella descrizione della proposizione n° 5).
Dare indicazioni in questo campo è assai arduo. L'ambito di esplorazione è ovviamente vasto e dai contorni indefiniti. Il terreno della riflessione si presenta inoltre assai scivoloso.
Nell'attesa che quanto prima venga attivata una commissione scientifica inter-disciplinare ed inter-istituzionale ad hoc, come chiesto dalla proposizione n° 6, ci si limita a formulare alcuni "orientamenti" a taglio "generale e non cogente" ed a porre una serie di quesiti.

ORIENTAMENTI ALL'ABBINAMENTO IN BASE ALL'ETÀ
Le Linee Guida ONU per l'accoglienza dei minori, all'articolo 21, indicano la preferibilità, salvo eccezioni, di inserimento dei bambini in contesti familiari, specie se piccoli: «In conformità con l’opinione degli esperti, l’accoglienza fuori dalla famiglia d’origine per i bambini, specialmente quelli al di sotto dei 3 anni, dovrebbe essere fornita in un ambiente familiare. Le eccezioni devono rimanere garantite al fine di prevenire la separazione di fratelli, e in casi nei quali la collocazione abbia natura di emergenza o dove sia stabilita per una durata predefinita o comunque molto limitata, laddove sia già pianificata la riunione con la famiglia d’origine o altre soluzioni a lungo termine appropriate». (n. 21).
Le Linee Guida, all'art. 61 "rincarano la dose" sottolineando l'importanza di «dare risposta al bisogno o al desiderio del bambino di sentirsi parte di una famiglia».
Nel Manuale "Moving Forward" per l'attuazione delle Linee Guida ONU è presente un'indicazione che completa il quadro: «Ci sono motivi che possono rendere l'accoglienza residenziale la migliore soluzione per alcuni bambini, in un certo momento della loro vita. Per un bambino con un’esperienza negativa di vita familiare può risultare impossibile scegliere immediatamente un affido», per la difficoltà a «far fronte all'intimità e alle aspettative di vita di un ambiente familiare» (Cap VI, pag. 74, punto 6.c). Quanto sopra, pur distinguendo semplicemente tra "accoglienza in famiglia" e "accoglienza in struttura", ci permette di trarne un orientamento utile al nostro discorso e cioè che, se in generale è opportuno favorire l'accoglienza familiare di tutti i minori, questo lo è in modo ancora più intenso per i bambini più piccoli (utile tenere presente che dei 14.991 bambini/ragazzi accolti in comunità, dato riferito al 31.12.2011, il 29,5% (cioè 4.422 bambini/ragazzi) è bambino: il 6,8% tra 0 e 2 anni; il 7,2% tra 3 e 5 anni; il 15,5% tra 6 e 10 anni).
Scrive Giovanni Tagliaferri: «alcuni parametri generali possono rappresentare una prima fase di scelta come l'abbinamento di un minore in fase prescolare ad una comunità con educatori residenti».
formuliamo alcuni quesiti:
- con bambini di fascia d'età 0-3 anni con forti bisogni riparativi (quindi bisognoso di grande competenza) è possibile affermare che vi sia sempre bisogno di una relazione di convivenza (seppur nelle varie tipologie, ivi compresa - a fronte di forti e complessi bisogni riparativi - la convivenza con un operatore)?
- con bambini di fascia d'età 4-10 anni con forti bisogni riparativi coniugato al bisogno di risposte non invadenti/non intime tali da risultare non opportuna l'accoglienza in comunità familiare, quali considerazioni è opportuno fare nello scegliere una comunità con operatore residente rispetto ad una comunità con operatori turnanti? É opportuno, puntare ad attivare, prima o poi almeno la presenza di una famiglia di supporto (compreso il caso in cui questa opzione venga realizzata chiedendo ad uno degli operatori turnanti di mettere in gioco anche la sua dimensione familiare)?
- con bambini di fascia d'età 4-10 anni, quando non vi fosse bisogno di limitare l'intimità offerta, quali considerazioni fare nella scelta tra le varie tipologie organizzative di comunità?
- con ragazzi di 11-17 anni, con forti bisogni riparativi e con richiesta di contesti a bassa offerta di intimità, quali attivazioni chiedere agli operatori per assicurare la massima "familiarità" possibile? (Operatore convivente? Operatori turnanti con un operatore che svolge anche ruolo di famiglia di supporto? ...)

ORIENTAMENTI ALL'ABBINAMENTO IN BASE ALLA GRAVITÀ DELL'ALTERAZIONE POST-TRAUMATICA.
Come indicato da Malacrea in un documento sulle premesse teoriche delle esperienze sfavorevoli infantili, la definizione di "disturbo post-traumatico da stress complesso" indica «il limite estremo di gravità di una vasta gamma di esiti, che vanno da quello fuggevole e non bisognoso di cura a quello derivante appunto da eventi traumatici ripetuti e prolungati».
Un orientamento per l'abbinamento potrebbe essere quello di considerare che quanto più gli esiti post traumatici sono gravi, tanto più il bambino ne viene disturbato e, di conseguenza, tanto più occorrerà intensificare la dimensione "riparativo-trattamentale" dell'intervento. I bambini/ragazzi vittime di gravi danneggiamenti sul piano emotivo, affettivo, relazionale sono portatori di importanti sintomi e/o reazioni a livello comportamentale. Tali problematiche possono essere affrontate e curate in un contesto caratterizzato da forte istanza di contenimento, con un’alta resistenza agli urti, con una buona capacità di comprendere, leggere, tollerare comportamenti inusitati e modalità relazionali distorte. Occorre un luogo di cura, di rispettosa "distanza", di riequilibrio, di elaborazione, caratterizzato da una moderata e calibrata attivazione sul piano affettivo (non ti invado, non ti faccio fare "indigestione"). Il CISMAI ha approfondito molto quest'ambito, vedendo nella comunità specializzata la risorsa elettiva. Una risorsa in cui accompagnare ed accogliere il bambino nella fase iniziale dell’intervento di protezione, valutazione e cura, per poi accompagnarlo “oltre”.
Sulla base di quanto sopra, formuliamo alcuni quesiti:
- tra i vari possibili quadri di "alterazione di elevata gravità", quali sono quelli nei quali può essere elettiva la scelta di un contesto riparativo caratterizzato dalla presenza di una "Comunità con famiglia con competenze specifiche nel campo del trattamento dei minori danneggiati + operatori satelliti"?
- Quali quelli in cui è preferibile una comunità con operatori residenti?
- Quali quelli in cui è preferibile una comunità con operatori turnanti e famiglia satellite?
- Quali, infine, quelli con soli operatori turnanti?

ORIENTAMENTI ALL'ABBINAMENTO IN BASE ALLA PROSPETTIVA DI MEDIO-LUNGO PERIODO
Il Manuale Mowing Foward sull'attuazione delle Linee Guida ONU al cap. 6, (pag. 73) afferma che: «l'adeguatezza della forma immediata di accoglienza dovrebbe essere decisa nel contesto di un piano globale». Detta in altri termini, le scelte dell'oggi vanno compiute avendo chiara anche la prospettiva di medio-lungo periodo. A tal riguardo possiamo distinguere due macro situazioni:
- bambini-ragazzi che vanno accompagnati al passaggio in una famiglia (il rientro nella propria, o il passaggio in adozione o in affidamento familiare);
- ragazzi che vanno accompagnati all'autonomia;
V'è poi un terzo caso, meno diffuso, ma di grande importanza e distinto dai due precedenti:
- bambini-ragazzi che hanno bisogno di accoglienza a tempo indeterminato (pensiamo ai casi di pluri-minorazioni gravi con totale mancanza di autosufficienza e fortissimi carichi di cura, per i quali è altamente improbabile l'individuazione di una famiglia adottiva o affidataria).
Si tratta di una categoria non poco diffusa, basti pensare che dei minori con disabilità o gravi malattie accolti nelle strutture al 31.12.2012 il 14% dei minori accolti in comunità ha una disabilità certificata (di questi ha: una disabilità psichica il 10,4%; una disabilità sensoriale lo 0,3%; una disabilità fisica lo 0,8%; una disabilità plurima il 2,2%.). Non tutti questi minori rientrano nel caso della grave non-autosufficienza anche se di certo non si tratta di un numero esiguo.
Sinteticamente possiamo affermare che, nel compiere l'abbinamento bambini/ragazzi/comunità, si debba tener presente che:
- i bambini e ragazzi del primo gruppo, come scrive Gennaro Petruzziello: «hanno bisogno di accompagnatori, esperti e preparati, di un breve periodo di transizione che serva a recuperare la loro fiducia negli adulti».
- i secondi, hanno bisogno di un contesto che alla dimensione di cui sopra sappia aggiungere anche una importante funzione educativo-formativa e, ove possibile, anche che di concreti strumenti di facilitazione abitativo-occupazionale, che li accompagnino, per l'appunto, all'autonomia. A tal riguardo c'è un bisogno di costruire futuro e prospettive, come ben descrive Valter Martini: «è necessario guardare non solo al qui ed ora, ma avere una prospettiva ed una forma di accoglienza che sappia guardare molto in avanti e che si ponga soprattutto come una accoglienza educativa e formativa»;
- gli ultimi hanno bisogno di un contesto che, anche se di natura comunitaria, divenga "la loro famiglia" onde evitare qualsiasi forma di neo-istituzionalizzazione silente.

ABBINAMENTO, TENUTA DELLA COMUNITÀ E NETWORK DI ACCOGLIENZA
È importante sottolineare che nell’abbinamento non va tenuto conto della sola situazione attuale, ma delle possibili evoluzioni future e della sostenibilità dell’abbinamento stesso. In particolare va valutata la capacità di “tenuta emotiva” del sistema nel lungo periodo, soprattutto nei casi di comunità con famiglia o operatori residenti, dove la relazione di convivenza espone maggiormente gli operatori agli eventuali comportamenti disfunzionali, aumentando il rischio che il percorso di accoglienza venga interrotto perché l’adulto non ce la fa più.
A tal riguardo sono "più forti" quei contesti nei quali la Comunità è inserita in un più ampio sistema di presa in carico dei bambini e dei ragazzi accolti. Scrive Valter Martini facendo riferimento al sistema dell'Ass. Papa Giovanni XXIII caratterizzato da un network fatto di varie comunità, centri diurni, cooperative per l'inserimento lavorativo, etc.: «Nella nostra esperienza un ruolo fondamentale nell'accoglienza è svolto dalla "rete comunitaria", che si esprime con realtà di accoglienza, di supporto, di opportunità molto diverse, complementari tra di loro. Perché possiamo accogliere bambini gravissimi ? Perché possiamo, con fatica, accogliere minori anche da carcere minorile, etc. Perché quella Casa Famiglia che accoglie quel ragazzo può contare, oltre alle risorse del territorio, sulle nostre cooperative sia di tipo A che di tipo B per l'inserimento a borsa lavoro, sui centri diurni (raggiunti i 18 anni e se disabili). Così pure potranno essere inseriti nel gruppo dei Giovani della Comunità, nei campeggi specifici ed in tante altre iniziative, negli incontri mensili di tutte le Case con i figli, nelle iniziative per i figli, etc. È la Casa Famiglia ma anche la rete comunitaria intera che si fa "educativa" e risposta alla globalità dei bisogni per quel minore, ma anche per gli adulti. È il passare dall'Io della singola Casa Famiglia, al Noi della rete comunitaria».

ALTRE INDICAZIONI GENERALI PER L'ABBINAMENTO
Altre indicazioni generali in materia di abbinamento minore/comunità sono desumibili dalle Linee Guida ONU per l'accoglienza dei minori fuori famiglia (art. 61):
• garantire che le opzioni di accoglienza tengano conto delle esigenze culturali e religiose dei bambini e delle loro famiglie (basti pensare che al 31.12.2010 i minori stranieri accolti nelle comunità coprono il 27% del totale, e la sola fetta dei Minori Stranieri non accompagnati il 4%, cioè 1.300 casi).
• favorire i rapporti di fratria, mantenendo insieme fratelli e sorelle;
• favorire la permanenza del minore all'interno del contesto comunitario di provenienza;
Altri spunti vengono dal Manuale Mowing Foward sull'attuazione delle Linee Guida ONU (cap. 6, pagg. 73-76):
• Dare priorità alla stabilità e continuità del collocamento. La scelta del luogo di accoglienza e la valutazione sulla quale essa si basa hanno bisogno di una visione sia di breve periodo sia di lungo termine «per garantire la "permanenza" del bambino a tempo debito» al fine di «dare priorità alla stabilità ed alla continuità del collocamento in accoglienza, affinché il bambino possa elaborare un rapporto positivo con gli adulti di cura»;
• Garantire collocamenti geograficamente «vicini alle famiglie», quando rispondente con l'interesse del minore;

LA DIMENSIONE "PENULTIMA" DEGLI ABBINAMENTI E LA TEMPORANEITÀ DELLA COMUNITÀ
L'accoglienza, la riparazione, l'accompagnamento, ... di un bambino, della sua storia, del suo mondo, delle sue difficoltà, del suo futuro, ... ci pongono di fronte a qualcosa di ontologicamente più grande di noi. Scrive Valter Martini: «Nessuna delle soluzioni che potrà essere individuata e scelta, risponderà totalmente ai bisogni di quel bambino, lasciando sempre qualcosa di incompiuto».
Si apre allora la necessità di:
- pensare sempre più a risposte complementari ed integrate, capaci di rimodularsi in base all'evolversi del percorso del minore, non però a caso, ma sempre compiendo lo sforzo di un cammino pensato;
- ritenere che la permanenza in una comunità, specie se con operatori, sia da ritenersi sempre e comunque una soluzione temporanea, in preparazione al passaggio in una famiglia, o all'avvio parziale di relazioni familiari [ad esempio con una famiglia satellite o con un operatore residente], o comunque almeno orientata verso l'orizzonte familiare (non fosse altro per il fatto che il minore, divenuto adulto, diverrà lui stesso soggetto attivo della costruzione di relazioni affettive di coppia e, potenzialmente, di famiglia). Unica eccezione a ciò è il caso di bambini pluriminorati gravissimi accolti in comunità con famiglia residente e che non potrebbero assolutamente essere accuditi da una famiglia "normale".
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Re: Proposizione n° 6 - Criteri/Codici di abbinamento

Messaggioda cismaiazzurro » 30/06/2014, 20:31

Le differenze delle fasce di età sono tante per ogni tipologia, ma più che soffermarsi sull'età, mi soffermerei sulla capacità della comunità di gestire situazioni e disagi diversi.
Mi spiego: se in una casa con famiglia residente vi sono 6 bambini piccoli, ma (per paradosso) con la maggioranza malati oppure tutti neonati, cosa diventerebbe? se in una comunità per adolescenti vi sono accolti tutti 16enni? e se questi, magari tutti maschi e magari per la maggior pare sono stati abusati? insomma, considerando che i bambini piccoli hanno bisogno di riferimenti stabili è vero anche che la familiarità la fa la "differenza" di età e talvolta anche di genere....altrimenti riproduciamo piccoli istituti. Evidenziare nella scelta della comunità l'importanza di conoscere quali problematiche sono già presenti in casa .......
Considerazioni importanti si dovrebbero fare anche sulla coppia residente che è necessaria per i bambini piccolissimi, ma vivendo i bambini nella fase di attaccamento potrebbero elaborare male la successiva separazione.... quindi i tempi sarebbero da accorciare...al massimo (vedi TM).
Il numero degli accolti andrebbe chiarito a nord accolgono più di 6 bambini per comunità Riflessione condivisa tra la presidenza Cismai, Marianna Giordano, Dario Merlino, Monica Procentese, Fedele Salvatore)
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Re: Proposizione n° 6 - Criteri/Codici di abbinamento

Messaggioda Marco Tuggia » 21/08/2014, 8:17

E' necessario superare l'idea che l'abbinamento si basa solo sulla valutazione della situazione del bambino/giovane. Dobbiamo introdurre una valutazione che tenga conto delle competenze genitoriali e del legame esistente tra il bambino e i la sua famiglia.
Marco Tuggia
 
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