Proposizione n° 3 - Classificazione multifunzionale comunità

Prosieguo del confronto sull'abbinamento minori/comunità realizzato da gennaio a maggio 2014 e rilanciato dal Convegno Nazionale di Studi del 15 maggio a Pompei. Per ogni argomento affrontato dal documento base del Convegno, è attivo nel presente Laboratorio un punto "ad hoc" nel quale inserire propri commenti, riflessioni, ...

Proposizione n° 3 - Classificazione multifunzionale comunità

Messaggioda admin_affido » 02/06/2014, 14:18

Realizzare, a livello nazionale, una "classificazione multifunzionale" delle comunità.

L'attuale impianto normativo materia di classificazione delle comunità si presenta assai eterogeneo. A livello nazionale vi sono poche indicazioni generali:
- legge 149/01: organizzazione e rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia (requisito non ulteriormente specificato);
- DM 308/2001: capienza massima 10 posti più 2 in emergenza; requisiti strutturali di civile abitazione in caso di capienza massima di 6 posti.
É demandata alle Regioni la definizione dei requisiti organizzativi adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e adolescenti accolti. Ciascuna regione, in mancanza di ulteriori indicazioni nazionali, ha disciplinato autonomamente la materia giungendo a definire classificazioni e standard spesso assai diversi da quelli di altre regioni.
Il Gruppo di coordinamento tecnico per le Politiche Sociali della Conferenza delle Regioni ha svolto un importante lavoro di confronto tra le varie tipologie ed ha individuato alcune macro-categorie, inserite nel Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali approvato dalla Conferenza delle Regioni nell'ottobre 2009 e aggiornato nel 2012. Le macro-caterogie individuate sono sette: Comunità familiari per minori; Comunità socio educative per minori; Alloggio ad alta autonomia; Servizi di accoglienza per bambino e genitore; Strutture di pronta accoglienza per minori; Comunità multiutenza; Comunità educative e psicologiche (ad integrazione socio-sanitaria). A queste se ne aggiunge un'altra, a carattere socio-sanitario, definita come Comunità educativo-riabilitative per minori/adolescenti.
A ben vedere questa classificazione presenta un quadro "spurio", in quanto, in parte essa indica il modello organizzativo adottato (ad esempio "comunità familiare" indica la presenza stabile di una famiglia o di un operatore), in parte invece, indica le funzioni svolte (socio-educativa o educativo-psicologica o educativo-riabilitativa), oppure l'omogeneità-eterogeneità degli ospiti (com'è nel caso della comunità "multiutenza", che accoglie sia minori che altre situazioni di bisogno). Si tratta inoltre di un quadro mono-dimensionale perché, ad esempio, non dice della comunità multiutenza se essa è gestita da una famiglia residente (comunità familiare multiutenza) o da operatori turnanti (comunità educativa multiutenza). Come anche non è precisato se la comunità familiare e la comunità multiutenza svolgono funzioni socio-educative, o educativo-psicologiche, o educativo-riabilitative. La classificazione di cui sopra non dice nulla rispetto ad ulteriori importanti elementi, ad esempio: la presenza o meno di un servizio di mediazione culturale; la presenza o meno di percorsi di accompagnamento all'autonomia; la capacità o meno di gestire la non-autosufficienza; etc. Tutto questo non solo rende gravemente insufficiente il quadro conoscitivo ed impedisce la messa in opera di un adeguato sistema di controlli ma non permette, a valle, l’individuazione di validi criteri per l'abbinamento minore/comunità.
Occorre superare questo grave impasse avviando un lavoro nazionale di riclassificazione delle comunità che sia:
• children’s need based, cioè impostato non a seconda del modello organizzativo della comunità (classificazione community organization based) bensì sui bisogni dei minori e sulle connesse risposte (cd. classificazione funzionale);
• multi-dimensionale, cioè consideri la possibilità che ciascuna comunità sia caratterizzata da una variegata combinazione di funzioni, tutte da esplicitare e codificare, che ne determinano l'abbinabilità (o la non abbinabilità) ai singoli minori (classificazione multifuzionale). A tal fine, si ritiene opportuno puntare direttamente a classificare le funzioni in quanto tali, anziché le strutture in base alle funzioni. In sede autorizzativa ciascuna comunità potrà indicare quale combinazione di funzioni intende realizzare ottenendo così un'ampia gamma di comunità (condizione che favorisce la realizzazione di buoni abbinamenti). Scrive Liviana Marelli: «il rispetto del diritto ad un progetto per sé richiede di costruire ricche filiere di opportunità capaci di abitare i territori affinché davvero ci sia la possibilità di discernimento». Anche Valter Martini afferma: «risulta quanto mai necessario ed auspicabile che si operi per poter arrivare a garantire una pluralità di risposte».

SI PROPONE, l'istituzione a livello nazionale di una commissione che elabori una "classificazione multifunzionale" delle comunità e ne definisca, per ciascuna funzione, i connessi standard minimi omogenei, precisando: sempre per ciascuna di esse, quali sono i bisogni per i quali è indicata (e, tra questi, per quali è elettiva); per quali bisogni è controindicata; quali sono le associazioni utili/possibili/impossibili con altre funzioni.

SPUNTI E APPROFONDIMENTI SUCCESSIVI. Al fine di contribuire alla riflessione (che auspichiamo si avvii a livello nazionale sulle "funzioni delle comunità") si riporta in Appendice 1 una sintesi di quanto emerso dal nostro Laboratorio online e dall'analisi di alcuni documenti nazionali e internazionali.

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Appendice 1

SPUNTI PER LA CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI DELLE COMUNITÀ


LE FUNZIONI DELLE COMUNITÀ NEI DOCUMENTI NAZIONALI E INTERNAZIONALI

Quali sono le indicazioni già presenti nella riflessione e nella regolamentazione nazionale e internazionale rispetto alle funzioni svolte dalle comunità?
Si riportano di seguito le indicazioni presenti nei documenti di maggiore rilievo. In alcuni casi c'è la precisa indicazione delle funzioni e delle relative descrizioni (come nel caso del Nomenclatore e del CISMAI). Il più delle volte sono indicate le funzioni ma senza la relativa definizione. In alcuni casi infine la funzione emerge dalla lettura del testo (come nel caso delle Linee Guida Onu e del documento del CNCA).

• Convenzione Onu sui diritti del Fanciullo, approvata nel novembre 1989, all'articolo 25 ci permette di individuare tre distinte funzioni (riferite ad un qualsiasi collocamento fuori famiglia):
o funzione di cura
o funzione di protezione
o funzione di terapia fisica o mentale

• Linee Guida ONU sull'accoglienza dei bambini fuori dalla famiglia di origine, approvate il 20 novembre 2009. Leggendo quanto in esse contenuto al Capitolo VI (n. 57) in materia di "Determinazione della forma di accoglienza più appropriata":
o funzione di salvaguardia nell'immediato
o funzione di benessere nell'immediato
o funzione di cura della crescita personale nel tempo

• 3° Piano Biennale Nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti dei soggetti in età evolutiva, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 2011. All'Azione 10A si indicano tre diverse tipologie di funzioni delle comunità:
o funzioni educative
o funzioni tutelari
o funzioni riparative
Non si precisa però cosa si intenda per ciascuna di queste categorie;

• Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali approvato dalla Conferenza delle Regioni il 29 ottobre 2009 e aggiornato nel 2012. All'allegato 2 l'insieme delle funzioni svolte dalle comunità (potremmo dire il "compito" delle comunità) viene definito con la dicitura "funzioni di protezione sociale". Esse sono poi suddivise in:
o funzione tutelare: protezione leggera, comprendente osservazione, accompagnamento e supporto all'autonomia
o funzione socio-educativa: di tutela e assistenza educativa per i minori
o funzione educativo-psicologica: assistenza educativa, terapeutica e riabilitativa per i minori in situazione di disagio psico-sociale e con disturbi del comportamento. É ad integrazione socio-sanitaria.
A queste si aggiunge la funzione di accoglienza di emergenza, propria delle strutture impegnate su fronte emergenziale. Il nomenclatore distingue poi la "funzione" dal "carattere di residenzialità", e distingue tra "carattere familiare" e "carattere comunitario". La definizione che ne viene data è molto breve e fa riferimento ad aspetti organizzativi. L'unica indicazione funzionale è che nella prima tipologia gli operatori svolgono funzioni genitoriali.

• CISMAI - Requisiti di “qualità” dei centri residenziali che accolgono minori vittime di maltrattamento e abuso, approvato il 28 settembre 2001, e Requisiti minimi dei Servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia, approvato il 21 novembre 2000. Dalla lettura combinata di questi due documenti, che fanno specifico riferimento ai minori vittime di abuso e maltrattamento, emergono le seguenti:
o funzione di protezione rispetto ai rischi di ulteriore vittimizzazione, volta ad arrestare il comportamento maltrattante/abusante
o funzione di osservazione del bambino e delle relazioni con i familiari. Essa si svolge durante la fase di "valutazione" ed è tesa a valutare il quadro complessivo della situazione traumatica nei suoi aspetti individuali e relazionali, il grado di assunzione di responsabilità da parte degli adulti coinvolti e le risorse protettive disponibili sui tempi medio-lunghi nel contesto degli adulti di riferimento per il minore (durata circa 6 mesi)
o funzione di trattamento: finalizzato a ripristinare condizioni di sufficiente benessere per il bambino, che duri sui tempi medio-lunghi: offerta di esperienze relazionali correttive, adeguate ai bisogni evolutivi del minore; facilitazione della rielaborazione delle esperienze traumatiche.
o funzione di sostegno nei momenti critici del percorso.
o funzione di accompagnamento del minore al passaggio in altri contesti.

• CNCA - Parliamo ancora di comunità, documento del dicembre 2012. Si parla di funzione terapeutica globale, con riferimento all'effetto benefico della vita quotidiana nella comunità. Più in dettaglio, con riferimento alle comunità di tipo familiare, ed escludendo quelle con funzioni socio-sanitarie, dalla lettura del testo emerge che lo specifico delle comunità è la funzione relazionale, cioè il garantire un contesto capace di dare ai bambini e ai ragazzi accolti una relazione attenta, specifica, significativa, calda.
Con riferimento ai minori del circuito penale nel testo si distingue tra funzione educativa e funzione di controllo

Dai contributi raccolti in seno al nostro Laboratorio Online, emergono i seguenti approcci:
• Gennaro Petruzziello (Ass. Infieri). Viene innanzitutto definito come "funzione tutelare e di protezione" il compito generale di tutte le comunità. Compito che, citando Dante Ghezzi, si declina in:
o funzione di aiuto
o funzione di ascolto, ivi compresa l'analisi delle ragioni dell'espulsione del minore dal suo nucleo familiare;
o funzione di riparazione, in vista del superamento della situazione problematica.

• Liviana Marelli (CNCA), dal testo emergono due funzioni:
o funzione educativo-relazionale
o funzione terapeutica

• Valter Martini (Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII), ipotizza tre gruppi di funzioni:
o funzione nutritiva, in risposta ai bisogni relazionali ed affettivi dei minori accolti;
o funzione "terapeutica", volti ad intervenire sui disturbi dei minori;
o funzione educativo-formativa, in risposta al bisogno di costruire futuro in un tessuto sociale e comunitario.

IPOTESI DI ELENCAZIONE DESCRITTIVA DELLE FUNZIONI DELLE COMUNITÀ
Sulla base degli spunti e delle sottolineature di cui sopra proviamo innanzitutto a definire la "funzione generale" svolta dalle comunità, qualunque tipologia e organizzazione abbiano, essa non è una sommatoria di funzioni, ma una “meta funzione”complessiva:
"Cura e accoglienza". Accoglienza residenziale di un bambino o un adolescente di cui ci si prende cura, interessandosi con sollecita premura, attraverso un impegno del proprio animo e della propria attività, al fine di promuoverne il benessere e la crescita. Questo interessamento solerte e premuroso crea un clima rassicurante e ristrutturante che accompagna la crescita complessiva del bambino o del ragazzo ottenendo un effetto “curativo-terapeutico” nel quotidiano.
Questa funzione generale si articola in varie funzioni specifiche, di cui riportiamo di seguito un'ipotesi di elencazione descrittiva provvisoria. Provvisoria nel senso che va intesa come canovaccio per veicolare un adeguato spazio di confronto interdisciplinare ed interistituzionale che porti quanto prima alla definizione di un'elencazione descrittiva condivisa.
Utile precisare che tra le funzioni descritte ve ne sono alcune sempre svolte dalle comunità, anche se con intensità diversa, che potremmo definire “funzioni di base” ed altre che possono o meno essere svolte a seconda dell'utenza cui la comunità si rivolge, che potrebbero essere definite “funzioni ulteriori”.
Come pure occorre chiarire:
• che ciascuna di queste funzioni può essere svolta con vari approcci e gradi di intensità a seconda dei bisogni cui si da risposta, del modello organizzativo delle comunità, ...;
• cha sarebbe sbagliato ipotizzare che a ciascuna funzione corrisponda una precisa azione o ruolo, poiché l'agire della comunità è per sua natura multifunzionale. Proprio questa consapevolezza spinge a proporre una classificazione funzionale anziché organizzativa delle comunità come presupposto per poter compiere abbinamenti adeguati.

Funzioni di Base
1. Intimità/appartenenza: vicinanza emotiva, possibilità di condividere vissuti ed esperienze con persone a cui ci si può sentire “legati”, dimensione relazionale che permette di sperimentare di essere “visti” e “riconosciuti” nei propri bisogni, per quello che si è e di poter sperimentare di essere importante per l’altro, “ri-nascendo” nella relazione con l’altro. Nutrimento psico-affettivo.
2. Educazione/formazione: intervento ampio e articolato, mirante ad estrapolare e potenziare qualità già insite nella persona e competenze ancora inespresse sia sul piano personale che sociale e relazionale. La comunità accompagna l’accolto nel processo di autoconoscenza e di risignificazione dei vissuti, contribuendo ad una strutturazione integrata della propria personalità, contribuendo alla formazione personale e alla promozione di competenze nell’ambito dell’attivazione di strategie di fronteggiamento di bisogni sempre emergenti e/o ulteriori eventi critici nel ciclo di vita. Offerta di stimoli, supporti e opportunità, formali e informali, miranti a potenziare il bagaglio delle conoscenze, delle competenze e delle abilità dei bambini/ragazzi accolti.
3. Riparazione: trattamento di disturbi traumatici dello sviluppo tramite l'offerta di relazioni correttive (contenimento affettivo, risposte sane e consapevoli a comportamenti disfunzionali, comportamenti chiari, coerenti e prevedibili,…) e di supporti terapeutici (sanitari, psicologici e psicoterapici) finalizzati al superamento della condizione patologica.
4. Osservazione: percorso di analisi del minore e del contesto familiare, con attenzione al sistema di relazioni, bisogni e risorse, eventualmente associata ad attività psicodiagnostica.
5. Accudimento materiale: risposta ai bisogni ordinari di alimentazione, igiene, abbigliamento, assistenza medica, istruzione, ...
6. Prevenzione di nuovi danni: Protezione, tutela, salvaguardia del minore dal verificarsi di nuove esperienze sfavorevoli.

Funzioni Ulteriori
7. Emergenza: pronta accoglienza residenziale con l'offerta di alloggio, vitto, relazioni, ... a fronte del bisogno imprevisto e urgente di allontanare il minore dal suo contesto familiare.
8. Accompagnamento all'autonomia: sostegno al completamento del percorso di studi, all'inserimento lavorativo, all'autonomia abitativa, all'autogestione del menage quotidiano (gestione economica, igiene, spesa, pasti, bollette, ...).
9. Controllo: attività di vigilanza e di eventuale contenimento del comportamento di minori di area penale finalizzata alla prevenzione di ulteriori reati ed al rispetto delle eventuali prescrizioni giudiziali.
10. Mediazione culturale: facilitazione della comprensione, del rispetto e dell'espressione delle specificità culturali, linguistiche, religiose.

PROFILO RELAZIONALE DELLA COMUNITÀ: LUOGO DI "AFFETTO COMPETENTE"
Sul tema della classificazione delle comunità uno dei terreni di maggiore confronto (e, a volte, scontro) è quello che riguarda la distinzione tra due macro-categorie:
- comunità con famiglia residente (Case Famiglia, Comunità Familiari, ...)
- comunità con operatori turnanti (comunità educative, comunità terapeutiche, com. alloggio, ...).
In modo estremizzato queste due categorie vengono collegate ad un'idea di "sola dimensione affettuosa e calda" nel primo caso, e ad un'ipotesi di "sola dimensione competente, tecnica e terapeutica" nel secondo caso. C'è il rischio di presentare le famiglie residenti come necessariamente "poco competenti" e gli operatori turnanti come persone "povere di affetto". Scrive Gennaro Petruzziello: «Per molte persone le Case Famiglia sono sinonimo di dimensione affettiva mentre le Comunità Educative rispondono all’esigenza di interventi professionali. Una distinzione di questo tipo, purtroppo alimentata anche da alcune linee guida regionali, è priva di senso e pericolosa. ... Operatori o famiglie molto affettuose ma con pochi strumenti non saranno in grado di rispondere alle esigenze di questi bambini così come operatori “professionali” ma con scarsa “competenza affettiva” non riusciranno a fare un buon lavoro».
Dunque sia famiglie incompetenti che operatori anaffettivi sono da ritenere non idonei al ruolo. Le estremizzazioni, pur partendo da principi generalmente condivisibili, finiscono per assolutizzarli, a detrimento di altri principi altrettanto importanti, e quindi, rendono parziali e insufficienti le risposte che si vanno ad attivare.
Occorre pertanto uscire da inutili stereotipi e smetterla di ragionare su "affetto si o affetto no" e su "competenza si o competenza no" per affermare che i bambini e ragazzi accolti hanno sempre bisogno di relazioni affettuose e competenti, o meglio ancora, di affetti competenti e di competenza affettuosa.
In una buona comunità, la relazione tra educatore e bambini/ragazzi accolti, se correttamente impostata e gestita, deve sempre assicurare un adeguato "calore relazionale", contribuendo a rinforzare/ristrutturare lo stile di attaccamento del minore, aiutandolo ad avere fiducia, a rinforzare la propria autostima, a governare i propri pensieri e comportamenti, a sentirsi efficace e ad essere collaborativo, a sviluppare sentimenti di appartenenza (a "sentirsi parte di").

TIPOLOGIE DI RELAZIONE AFFETTIVA OFFERTE DALLE COMUNITÀ
Volendo individuare la comunità più adatta al bambino, dobbiamo chiederci innanzitutto di quali affetti competenti ha bisogno. Mettiamo in premessa che questo tentativo di analisi e/o di descrizione ha l’ambizione di essere una base di confronto sul tema in oggetto e non già un suggerimento di pensieri chiari intorno al tema, che dunque abbisogna di essere approfondito ed esplorato attraverso la molteplicità dei contributi che possono venire da chi ogni giorno si sperimenta su un piano operativo e progettuale col chiaro obiettivo di costruire percorsi sempre più tutelanti ed individualizzati. Dunque, pur ricorrendo all'utilizzo di terminologie "rudimentali" (e chiedendo venia per questo), nell'attesa di giungere all'individuazione di adeguate e condivise terminologie scientifiche, tentiamo la descrizione delle caratteristiche dell' “affetto competente”.
- natura della relazione affettiva: Partendo dal presupposto che esistono tipologie di affetto differenti, ossia affetti erogati dal riferimento familiare/genitoriale ed affetti erogati dai molteplici riferimenti adulti egualmente coinvolti nella cura del bambino, ma con ruolo differente, proviamo qui a differenziare la tipologia delle modalità affettive utilizzate dai differenti attori e dunque le risposte tipiche delle quali un bambino può beneficiare. Tutto ciò ovviamente considerando sempre che ci muoviamo in aree così poco racchiudibili in categorie fisse di risposta, tali da necessitare di dover tener sempre presente il bisogno della flessibilità nella sintonizzazione.
• affetto "sociale". Definiamo con questo termine quell'importante e delicato rapporto di empatia, accoglienza, comprensione e contenimento che l'operatore educativo offre al minorenne accolto in comunità. Si tratta di una dimensione che tutte le comunità devono offrire, a prescindere dal modello organizzativo e funzionale adottato. Ovviamente ciascun operatore si “sintonizzerà” differentemente con il bambino a seconda della funzione svolta nel sistema e a seconda degli obiettivi del proprio ruolo nel progetto di tutela e cura rivolto al bambino.
• affetto "familiare". Con questa dicitura intendiamo fare riferimento ad una serie di ulteriori connotazioni affettive proprie di un ambiente familiare, quali:
o il coinvolgimento delle altre relazioni affettive dell'operatore: l'adulto offre al bambino accolto non solo il proprio affetto, ma in questa dinamica vengono coinvolti anche i propri parenti, congiunti, amici cari, con i quali il bambino viene in contatto, promuovendo un contagio tra mondi affettivi tipico dell’ambiente relazionale di tipo familiare, il bambino/ragazzo "entra" cioè nel mondo affettivo proposto dall'adulto, respirando l'amorevolezza che fluisce tra le persone, i generi e le generazioni, che ne fanno parte, ...;
o oltre all’esplorazione delle attitudini, delle passioni e degli interessi specifici del bambino/ragazzo potenzialmente da coltivare, quest’ultimo incontra anche l’opportunità del coinvolgimento negli interessi personali dell’operatore: l'operatore offre al minorenne accolto la possibilità di conoscere e, ove possibile, condividere i suoi interessi, passioni, hobby;
o il coinvolgimento della propria dimensione abitativa: l'operatore offre al bambino/ragazzo la possibilità di visitare la propria abitazione (e, ove possibile, di frequentarla e trascorrervi del tempo);
o lo stare insieme anche in orari e momenti "non lavorativi", segno di una relazione che va oltre il ruolo svolto nella comunità, oltre l'attività remunerata, ...;
o il coinvolgimento nei propri bisogni; l'operatore è visibile al bambino/ragazzo anche nelle proprie difficoltà personali e/o quotidiane e, ove possibile, il minore è coinvolto nel collaborare/aiutare l'operatore nel superamento di tali situazioni; questa “umanizzazione” dell’operatore permette al bambino di sperimentarsi nella relazione di reciprocità e non già di essere pensato e sentito o viversi unicamente come fruitore di un servizio a lui destinato;
o l'orientamento al "per sempre", il sapere cioè che l'adulto di riferimento incontrato "ci sarà" anche in futuro, il legame costruito ha la possibilità di rimanere vivo anche quando l'accoglienza sarà terminata.
• Tutte queste dimensioni, rendono "familiare" una relazione affettiva. Per la loro natura sono più intensamente garantibili nelle situazioni di "coabitazione tra l'adulto educatore e il bambino/ragazzo accolto", ed ancor più quando tale coabitazione coinvolge la famiglia dell'educatore. Ciò non significa che gli operatori turnanti non possano attivarsi anche su questi fronti, anzi sarà opportuno assicurarsi che ciò avvenga, almeno con uno degli operatori turnanti (opzione che richiede una riflessione su vari aspetti, ivi compresi il numero dei turni settimanali, le fasce orarie di presenza, ...) nei casi in cui non vi fossero figure adulte residenti nella comunità. Resta inteso che la scelta di offrire "affetti sociali" o "affetti familiari" va fatta non in astratto ma in base alle specifiche esigenze del bambino/ragazzo.
- area della competenza: pur considerando che ogni qualvolta un bambino viene allontanato, comunque subisce un trauma, trauma che necessariamente si somma alle carenze e/o ai danni e traumi già esperiti in famiglia, dunque pur partendo dal presupposto che sempre l’area della competenza deve fare riferimento alle categorie della consapevolezza dei bisogni non visti e/o violati del bambino, proviamo qui a suddividere in due tipologie sulla base della minor/maggiore complessità del danno subito dal bambino che porta con sé la necessità di interventi più o meno intensi e strutturati.
• competenza nella gestione di relazioni "fisiologiche" (volendo mutuare questo concetto in termini metaforici dall’ambito medico): cioè basate sui comuni "canoni relazionali", come può essere nelle situazioni in cui il bambino/ragazzo non ha subito danni tali da alterare i significati e i comportamenti "normali" e che quindi lo mettono nella condizione di poter beneficiare delle ordinarie modalità affettive interpersonali;
• competenza nella gestione di relazioni più profondamente disturbate/patologiche/danneggiate. La competenza in quest'area include il possesso anche della competenza nella prima.
Combinando questi due elementi ne scaturisce un'infinita gamma di tipologie di affetto competente, che per necessità descrittiva proviamo a racchiudere in quattro macro-tipologie:
- affetto familiare con competenza nell'ambito di relazioni "fisiologiche";
- affetto familiare con competenza nell'ambito di relazioni complesse a base patologica;
- affetto sociale con competenza nell'ambito delle relazioni "fisiologiche";
- affetto sociale con competenza nell'ambito di relazioni complesse a base patologica.

AFFETTO COMPETENTE E PROFILO ORGANIZZATIVO DELLA COMUNITÀ
Per quanto riguarda le tipologie organizzative delle comunità, le ipotesi canoniche della Comunità con famiglia residente e della Comunità con operatori turnanti rappresentano soltanto gli estremi di un continuum in cui le due componenti possono essere variamente miscelate.
A tal proposito ipotizziamo la presenza di almeno sei tipologie, come indicato nella prima colonna della Tabella 1. Utile sottolineare che anche questa elencazione è "riduttiva" della realtà, perché ognuna di queste tipologie potrebbe essere ulteriormente articolata in ulteriori sottospecie.
Anche se le prime tre tipologie hanno una "prevalenza dell'elemento familiare" e le altre tre una "prevalenza del fattore tecnico-professionale", ciascuna di essi esprime capacità di affetto competente, come indicato nella terza colonna della Tabella 1. (nota: la Tabella 1 è visionabile a pagina 21 del .pdf presente nella Documentazione di Approfondimento)
Interessante evidenziare la forte vicinanza tra la 3a e la 4a che, pur appartenendo a due macro-categorie diverse, offrono un profilo relazionale con molti punti di coincidenza. Tant'è che definiamo "familiare" anche la relazione di convivenza con l'operatore, in quanto essa chiama in gioco molti dei livelli affettivo-familiari sopra elencati.

FUNZIONI RELAZIONALI DELLE COMUNITÀ
Ulteriori considerazioni emergono se intrecciamo i profili organizzativi e relazionali della tabella 1 con le funzioni delle comunità prima elencate. Per esigenze di brevità limitiamo il confronto alle due funzioni dell'elenco che spesso vengono erroneamente messe in contrapposizione, e cioè:
- la funzione di intimità/appartenenza/nutrimento volta al rinforzo delle condizioni fisiologiche;
- la funzione di riparazione/trattamento, volta al superamento delle condizioni patologiche.
Ebbene, incrociando queste due funzioni con le tipologie di "affetto competente" emergono varie ipotesi come illustrato nella Figura 1.
Riteniamo importante sottolineare che la tipologia relazionale incentrata sull'affetto familiare con competenze nelle relazioni "fisiologiche" (proprio delle comunità con "solo famiglia") non svolge solo la funzione di intimità/appartenenza ma anche una funzione riparativa dei disturbi di entità lieve, come pure, all'altro estremo, la tipologia relazionale incentrata sull'affetto sociale con competenze nelle relazioni "fisiologiche" e "patologiche" (proprio delle comunità con "solo operatori turnanti") non svolge solo funzione riparativa ma anche funzione di intimità nutritiva, seppur nelle forme leggere e non invadenti che devono caratterizzare il trattamento di taluni disturbi gravi post-traumatici.
Altro aspetto importante è evidenziare che "forte riparazione" non significa intervento prevalente degli operatori. Possono infatti esservi bisogni riparativi dei bambini che si abbinano bene alla presenza di una famiglia (specie se con competenze specifiche) e alla conseguente "forte intimità" che ne deriva. Parimenti "forte intimità" non significa automaticamente "presenza di una famiglia", perché anche un operatore convivente può offrire alti livelli di intimità.

(nota: la Figura 1 è visionabile a pagina 22 del .pdf presente nella Documentazione di Approfondimento)
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Re: Proposizione n° 3 - Classificazione multifunzionale comu

Messaggioda MARIANNA GIORDANO » 30/06/2014, 20:01

Occorre pertanto uscire da inutili stereotipi e smetterla di ragionare su "affetto si o affetto no" e su "competenza si o competenza no" per affermare che i bambini e ragazzi accolti hanno sempre bisogno di relazioni affettuose e competenti, o meglio ancora, di affetti competenti e di competenza affettuosa. Riflessione condivisa tra la presidenza Cismai, Marianna Giordano, Dario Merlino, Monica Procentese, Fedele Salvatore)
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Re: Proposizione n° 3 - Classificazione multifunzionale comu

Messaggioda cismaiazzurro » 30/06/2014, 20:19

Benchè importanti le definizioni delle comunità, si notano eccessive differenziazioni: operatori turnanti, operatore residente specializzato, con operatori specializzati più famiglia di supporto, o con famiglia satellite.. Credo che le due macro aeree che differenziano la residenzialità degli operatori o meno sia sufficiente...e visto che si fa riferimento alla rete e al contesto sociale, mi sembra che possa essere importante che anche famiglie e volontari possano essere un valore aggiunto al lavoro degli operatori.
Nello specifico, ci chiedevamo per esempio quale differenza tra una famiglia affidataria e quella che è definita comunità con famiglia.?.... Alle comunità devono sempre richiedere la presenza di persone competenti.... Riflessione condivisa tra la presidenza Cismai, Marianna Giordano, Dario Merlino, Monica Procentese, Fedele Salvatore)
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Re: Proposizione n° 3 - Classificazione multifunzionale comu

Messaggioda cismaiazzurro » 30/06/2014, 20:25

rispetto alle FUNZIONI
La definizione delle competenze specifiche di una struttura residenziale, da la possibilità di individuare una migliore “collocazione” del bambino/ragazzo, ma eccessiva è la differenziazione in FUNZIONI…Una comunità, qualsiasi sia la preparazione specifica, deve avere in sé TUTTE LE FUNZIONI SOTTO SPECIFICATE!!!
inoltre
Una funzione poco attribuita alle comunità è la capacità di sapersi relazionare con la famiglia di origine. È chiaro che la competenza deve restare al servizio sociale che deve maturare una specifica competenza nel lavoro di supporto sociale, in tal senso si segnala un lavoro in corso a Napoli. Ma gli educatori sono spesso a contatto con le famiglie naturali più dell'assistente sociale e diventano (se si lavora sulla "buona" relazione) un riferimento positivo considerato con meno pregiudizio rispetto alla rete formale. Spesso è in comunità e/o centri per le famiglie aggregati che si svolgono incontri in spazi neutri..
Altra funzione è l’accompagnamento degli accolti durante il processo di dimissione: qualche pensiero in più sui neomaggiorenni.
aggiungo la necessità di creare protocolli o procedure per consentire ai bambini accolti di elaborare la separazione dagli educatori di riferimento e prepararsi gradualmente alla conoscenza di famiglie affidatarie o adottive. Curare questo aspetto è tutelante per i bambini che talvolta sono scaraventati in nuove famiglie in maniera veloce e poco curata in nome "dell'ottemperanza al decreto" disposto.....Credere nella possibilità degli educatori di osservare l'interazione tra le coppie inviate e i bambini, in stretta collaborazione con gli assistenti sociali o cercando modalità che garantiscano al bambino il diritto alla famiglia con uno sguardo "neutrale e attento"


(Riflessione condivisa tra la presidenza Cismai, Marianna Giordano, Dario Merlino, Monica Procentese, Fedele Salvatore)
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Re: Proposizione n° 3 - Classificazione multifunzionale comu

Messaggioda cismaiazzurro » 30/06/2014, 20:41

la distinzione così particolarizzata di affetto non è da noi molto condivisa. è rischioso utilizzare tale catalogazione/CATEGORIZZAZIONE DI “AFFETTO”. L’affetto è un sentimento che lega una persona ad un’altra e non può essere differenziato in “sociale” e “familiare” o di altro tipo. (Riflessione condivisa tra la presidenza Cismai, Marianna Giordano, Dario Merlino, Monica Procentese, Fedele Salvatore).
cismaiazzurro
 
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