Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Quando inserire un minore in casa famiglia con educatori residenti? E quando inserirlo in una comunità educativa con educatori turnanti? Quali "standard affettivi" caratterizzano queste due tipologie di comunità? Quali criteri di orintamento generale tenere presenti nell'individuazione di una comunità in cui inserire un "bambino 0-10 anni"? E quali per un minore vittima di abuso sessuale o di maltrattamento grave?

Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda Paola » 23/04/2014, 12:02

1) In linea di massima per i bambini 0/10 anni ritengo sia preferibile la comunità con educatori residenti e, in particolare per bambini 0/6 anni, una comunità di tipo familiare. Penso che questo principio però non possa prescindere dalla peculiarità delle singole situazioni. In particolare mi riferisco a quei bambini che per loro storia e situazione familiare e personale non sono immediatamente disponibili ad accogliere un rapporto particolarmente intenso. Inoltre a volte l'opportunità di una comunità familiare di cui tanto potrebbe beneficiare il bambino si scontra con la necessità di attivare interventi professionali specifici che non sempre la comunità familiare ha le risorse per mettere in atto o non sempre vi è una opportunità (ad esempio gli incontri vigilati, osservati e relazionati al Tribunale) A questo proposito sarebbe interessante sperimentare formule "miste", dove accanto ad una accoglienza di tipo familiare si possa contare su interventi professionali esterni che integrano il lavoro della famiglia e preservano uno spazio di accoglienza affettiva dei minori
2) In linea di massima credo che più che di comunità altamente specializzate siano necessaria una competenza sulle tematiche dell'abuso e del maltrattamento trasversale alle varie comunità, integrata con supporti specialistici individualizzati
3) L'anagrafe delle comunità è fondamentale, una anagrafe capace di dare una rappresentazione plastica della comunità, con i punti di forza e i punti di debolezza, gli interventi aggiuntivi all'accoglienza, le reti su cui può contare... Credo anche però che la comunità sia una realtà mutevole in ordine alle persone accolte e a quanto stanno vivendo. Penso quindi che l'anagrafe sia solo un punto di partenza che è necessario si arricchisca con un confronto costante con i gestori perché la realtà sia il più possibile fotografata nel momento in cui si sta ragionando su un abbinamento
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda PEPE ROSARIO G. » 23/04/2014, 20:53

Leggo con interesse con quanta attenzione i contributi dati in questo forum abbiano trattato l'abbinamento dei minori nelle diverse tipologie di strutture, peccato che la realtà sia diversa.
I bambini vengono lasciati nei propri contesti socio-familiari fino a quando un assistente sociale “costretto” dagli eventi o dal fallimento dei tanti interventi fatti in precedenza, si decide a segnalare lo stato di pregiudizio in cui il minore vive. A quel punto solo dopo che il magistrato emette un provvedimento l'assistente sociale (o l'amministrativo del comune) si trova nella condizione di dover scegliere dove collocare il minore. La scelta che guida, tra una casa famiglia con educatori residenti o una comunità educativa con educatori turnanti, non è la qualità relazionale o professionale degli educatori, o il programma comunitario offerto o la supervisione dello psicologo, ma si riduce ad una mera contrattazione economica sul costo della retta.
Tale approccio oltre ad essere rischioso per il benessere del minore è mortificante per gli operatori del settore, perché il tutto viene limitato ad una questione meramente economica, tralasciando la qualità e i buoni propositi di rispondere in maniera appropriata e personalizzata ai bisogni di quel minore e della sua famiglia di origine.
Dalla mia personale esperienza di famiglia residente prima (6 anni) e operatore di comunità educativa poi, quello che fa la differenza e che trasforma la “casa” che accoglie in ambiente terapeutico e di benessere, è la qualità e l'autenticità delle relazioni.
PEPE ROSARIO G.
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda mariannadiguida » 29/04/2014, 19:41

E' preferibile inserire i minori più piccoli in una casafamiglia con operatori residenti, per poter far vivere loro una relazione affettiva stabile, che possa contenerli affettivamente. I minori più grandi, invece, possono essere inseriti in una comunità educativa con operatori touranti per vivere così un sistema relazionale più leggero e flessibile.
mariannadiguida
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda Famiglia Iossa » 29/04/2014, 21:40

Breve presentazione
Siamo Arnaldo Iossa e Justina Ortiz, sposati da vent’anni, con quattro figli che vanno da 11 a 21 anni. Dopo una lunga esperienza di affidamento familiare plurimo, sfociato poi nell’adozione di uno dei bambini accolti, siamo attualmente la famiglia residente di Casa Betania, casa famiglia che da ormai ventun’anni accoglie nuclei madre-bambino e bambini soli da 0 a 9 anni. In quest’ultimo periodo però l’accoglienza delle mamme viene gestita con maggiore autonomia in una sezione dedicata della casa, quindi noi ci occupiamo soprattutto dei bambini (attualmente sei, da 1 a 12 anni), insieme a quattro educatrici turnanti e numerosi volontari. L’assetto della casa è tale per cui con i nostri figli ci troviamo a condividere integralmente spazi e tempi con gli ospiti, non avendo ambienti riservati al di là delle nostre stanze. Come coppia genitoriale dedichiamo inoltre tutto il nostro tempo e le nostre energie alla casa. Questo ci pone nella condizione di instaurare una relazione affettivo-educativa molto intensa con i bambini ospiti.

Premessa
Il lungo percorso vissuto come famiglia affidataria e l’impegno educativo-professionale di Arnaldo, ci hanno consentito di interagire in maniera alquanto intensa con i servizi sociali e con il TM. Questa esperienza ci ha fatto toccare con mano spesso un’inaccettabile condizione di inefficienza dei servizi, dovuta ad almeno tre fattori:
• Incompetenza: incapacità di cogliere la reale dimensione di situazioni problematiche e di saper individuare strategie efficaci di recupero; spesso mancanza di autorevolezza o di determinazione nel prendere le necessarie decisioni;
• scarsità di risorse: sia umane che economiche;
• negligenza: superficialità, poca serietà…
E’ ovvio che questi fattori si intrecciano spesso alimentandosi a vicenda in un circolo vizioso le cui conseguenze ricadono ovviamente sui minori e sulle famiglie di origine. Il vuoto maggiore ci sembra proprio quello che riguarda la necessità di attivare dei percorsi di recupero della famiglia d’origine, oppure l’estrema lentezza nel prendere le giuste decisioni.
Ci sembra allora che il problema pur delicato dell’abbinamento vada inquadrato nella cornice più ampia che riguarda la progettualità socio-educativa rispetto alla quale i processi di aiuto possono funzionare solo nella misura in cui ci sia un efficace lavoro di rete in cui ogni attore faccia con serietà la propria parte, a cominciare dai servizi.
Orientamenti di fondo
Sulla base della nostra esperienza riteniamo che l’ambiente familiare sia in linea di massima da preferire a qualsiasi altro contesto, quindi, nel caso di una struttura residenziale (in alternativa alla famiglia affidataria), sia da privilegiare l’inserimento in case con famiglia residente.
Inoltre ribadiamo la priorità del PEI nel quale vanno attivate in maniera dinamica tutte le risorse e le esperienze adeguate a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Situazioni specifiche
Detto ciò ci sembrano comunque condivisibili le affermazioni relative alla 1° e 2° questione.
Riteniamo che anche nel caso di adolescenti potrebbe forse in taluni casi apparire più opportuno l’inserimento in strutture con operatori turnanti, piuttosto che con famiglia e/o operatori residenti.

La proposta dell’anagrafe ragionata (3° questione) è interessante come strumento di lavoro atto a facilitare il lavoro di ricerca, ma certo non sufficiente o risolutivo di per sé. Si tratta sempre di valutare il singolo caso in riferimento alla situazione contingente concreta nella quale ogni struttura si viene a trovare in quel momento storico preciso.

Riguardo alla supervisione (4° questione) siamo assolutamente convinti della sua necessità, anche nel nostro caso specifico di famiglia residente. L’impegno educativo è un’esperienza nella quale ciascuno mette in gioco anzitutto se stesso, in tutte le dimensioni e sfaccettature del proprio essere persona che diventa in qualche modo anche il primo “strumento di lavoro”. Da qui l’obbligo di prendersi cura delle proprie emozioni, delle relazioni, delle complesse dinamiche che il processo di aiuto suscita e alimenta, per poter realizzare un lavoro realmente benefico, o il meno dannoso possibile. Nessuno può esimersi da questa grande responsabilità!
Grazie!
Famiglia Iossa
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda FRANCESCA GAGLIONE » 30/04/2014, 9:37

1. Credo - anche partendo dalle riflessioni sul tema degli “standard” delle comunità - che per tutti i minori fuori famiglia, che abbiano 0 oppure 17 anni, sia preferibile il collocamento presso una comunità con educatori o famiglia residente. L'intento è quello di offrire ai minori vittime di esperienze sfavorevoli un'accoglienza che sia più familiare che comunitaria, per consentire loro di sperimentare modelli familiari positivi. La dimensione familiare, infatti, ritengo costituisca la base di fiducia e certezze su cui fondare lo sviluppo del bambino/ragazzo. Pur lasciando questa preferenza di massima, è opportuno valutare il singolo caso che presenterà una sua specificità, che deve essere specificamente trattata.
2. I bambini vittime di abuso e maltrattamento necessitano di “accoglienza specializzata”, che è opportuno affidare ad operatori che abbiano un’esperienza in tale preciso ambito. È importante che i bambini abusati o maltrattati abbiano su di sé un’attenzione esperta che li accompagni e sostenga anche nel percorso di diagnosi e trattamento terapeutico. L’affidamento a famiglie volenterose ma impreparate può portare al fallimento dell’affido stesso e ad un ulteriore danno per il bambino.
3. È certamente utile disporre di un’Anagrafe ragionata delle comunità, che contenga informazioni utili a favorire il miglior abbinamento tra minore da collocare e comunità, o meglio, tra caratteristiche della comunità ed esigenze del minore. Tuttavia, ritengo che, anche successivamente all’inserimento, le comunità vadano visitate, conosciute “stando dentro” così da assumere una visione realistica del loro funzionamento. La conoscenza diretta dei luoghi e degli operatori può senz’altro aiutare a garantire un abbinamento funzionale.
4. La supervisione è un elemento fondamentale in quanto verifica del proprio "sé professionale" che agisce all'interno di dinamiche relazionali complesse. La presenza di un supervisore all'interno di comunità di accoglienza per minori rappresenta un indicatore di qualità non trascurabile.
FRANCESCA GAGLIONE
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda rosetta saladino » 30/04/2014, 16:07

salve,
anch'io sono d'accordo con Paolo, è veramente avvilente e mortificante lavorare in queste condizioni, quando non solo la retta fa la sola differenza ma ancora peggio dove prevalgono nelle scelte di abbinamento solo accordi politici e amichevoli con i responsabili della varie comunità, o perché parenti o preferiti da alleanze d' intese, ma che non hanno il minino interesse a salvaguardare il benessere e lo stato psicologico del minore da inserire, esistono ancora case famiglie inserite strutturalmente in ex-edifici dei vecchi istituti oggi in mano alla Ipab, che mantengano ancora nello stile e nella programmazione gestioni velate di buoni propositi ma in realtà con approcci educativi deliranti.Certo condivido ancora con Paolo e denuncio i ritardi di interventi a favore dei minori solo dopo aver tentato vari interventi fallimentari, che nascondono l'incapacità o la mancata volontà di dare un futuro migliore a chi già ce l'ha predestinato visto il contesto di provenienza.
Rosetta
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda mariannadiguida » 30/04/2014, 16:23

Ritengo che sia assolutamente preferibile inserire il minore da 0 a 10 anni in una casafamiglia con operatori residenti; l'ambiente familiare infatti diventa fondamentale per una crescita adeguata del bambino. Il minore può sperimentare e vivere una relazione affettiva stabile e continuativa in riferimento sia al rapporto tra la coppia di coniugi che a quello tra genitori-figli. Questo sistema relazionale favorisce, sicuramente, un ambiente in cui il minore si sentirà accolto, sostenuto, amato. La presenza significativa di una figura paterna e materna offre un senso di "normalità" che permetterà al minore di elaborare in maniera più serena il distacco dalla famiglia di origine. Gli adolescenti, invece, possono essere anche inseriti in una comunità educativa con operatori turnanti. Diventa però importante la presenza di figure di riferimento che possono sostenere e soprattutto accogliere e rispondere ai diversi bisogni. La continuità nella relazione è, infatti, per me necessaria per il minore di qualsiasi età. Per quanto riguarda il minore vittima di abuso sessuale è necessario che sia inserito in un ambiente con personale specializzato, ma anche qui, secondo la mia esperienza, la presenza di figure stabili diventa una risorsa straordinaria per affiancare, contenere e soprattutto permettere al minore di fare i conti con le proprie emozioni e con la propria storia. E' chiaro comunque che non c'è una risposta univoca a queste problematiche, bisogna infatti intervenire tempestivamente, saper leggere i bisogni e dare una risposta adeguata soprattutto nel rispetto del minore.
mariannadiguida
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda Fortunata D'agostino » 02/05/2014, 8:41

1)L'allontanamento di un ragazzo dalla famiglia di origine è sempre un evento traumatico, pur sussistendo le motivazioni che lo hanno determinato. Nella famiglia il bambino realizza, specie nei primi anni di vita la costruzione della propria identità la primaria soddisfazione al bisogno di sicurezza, sviluppa l'autostima e la capacità di essere autonomo e creativo, interiorizza i valori sociali e gli stili di vita tipici del proprio sistema sociale. la casa famiglia si propone di intervenire compensando le difficoltà della famiglia di origine, attraverso l'accoglienza in un ambiente di tipo familiare dove il minore può vivere in un clima di confronto e dialogo che permetta la ricostruzione di una vita normale mediante regole di convivenza, organizzazione della giornata, educazione, studio , gioco, sport. Un bambino , un ragazzo allontanato ha bisogno soprattutto di cura e punti di riferimento affettivi stabili,il turn over degli educatori può sconvolgere e di fatto può frammentare l' intervento di cura e presa in carico del bambino o ragazzo stesso.- Pertanto come riferimento pedagogico, riteniamo che il modello di casa famiglia con coppia residente sia da preferire in generale per tutte le fasce di età, in particolare per la fascia 0 - 13. Nella fase adolescenziale con un' identità parzialmente formata la comunità educativa potrebbe essere la risposta più adeguata, ad un ragazzo allontanato dalla propira famiglia d'origine, se si mantiene prioritario l'interesse dello stesso ed i suoi reali bisogni.

2)La casa famiglia dovrebbe caratterizzarsi come un luogo privilegiato delle relazioni. I bambini, i ragazzi accolti nella maggioranza dei casi, vengono da percorsi dove le carenze relazionali hanno segnato negativamente il loro percorso di crescita. La casa famiglia dovrebbe quindi riuscire a sanare queste carenze affettive e relazionali con presenze stabili ed affettivamente significative, lavorando ricostruendo e riabilitando dove è possibile la famiglia d'origine, e sempre nel rispetto delle loro storie. Non è semplice lavorare come casa famiglia tenendo conto delle emotività che entrano in gioco; chi vive tale esperienza sa che è fondamentale farsi supervisionare come educatori. Lo stare insieme con i ragazzi accolti significa sapersi appartenere con legami affettivi significativi per un pezzo di vita più o meno lungo. Anche le comunità di tipo familiare dovrebbero caratterizzarsi da questa appartenenza affettiva anche se con "maglie emotive" un poco più larghe.

3)Nel rispetto di quanto affermato nelle precedenti mie asserzioni, ritengo che una persona in formazione quale è un bambino dai 0 a 10 anni allontanato dalla famiglia di origine abbia bisogno, per poter crescere armonicamente di un ambiente che si ispiri ad una famiglia questo per poter avviare quel processo di identificazione sana in figure di riferimento che possano riabilitare quei legami familiari caratterizzati da carenze relazionali e deprivanti affettivamente. La casa famiglia con le sue caratteristiche familiari con i suoi tempi i suoi "riti" può rappresentare la risposta più adeguata

4)La casa famiglia dovrebbe caratterizzarsi come luogo privilegiato delle relazioni. I bambini, i ragazzi accolti nella maggioranza dei casi, vengono da percorsi dove le carenze relazionali hanno segnato negativamente il loro percorso di crescita. La casa famiglia dovrebbe quindi riuscire a sanare queste carenze affettive e relazionali con presenze stabili ed affettivamente significative, lavorando ricostruendo e riabilitando dove è possibile la famiglia d'origine, e sempre nel rispetto delle loro storie. Non è semplice lavorare come casa famiglia tenendo conto delle emotività che entrano in gioco; chi vive tale esperienza sa che è fondamentale farsi supervisionare come educatori. Lo stare insieme con i ragazzi accolti significa sapersi appartenere con legami affettivi significativi per un pezzo di vita più o meno lungo. Anche le comunità di tipo familiare dovrebbero caratterizzarsi da questa appartenenza affettiva anche se con "maglie emotive" un poco più larghe.

5) Nella nostra esperienza professionale ed umana, ci è capitato di incontrare bambini maltrattati intendendo per maltrattamento anche l'abuso sessuale. Ci siamo sempre chiesti,come coppia residente, insieme ai nostri educatori, se eravamo noi la risposta a quei bisogni specifici di cui è portatore un bambino maltrattato:atteggiamenti sessualizzati, adultizzati, seduttivi, di rottura, di poca aderenza con la realtà... E se stavamo forzando la stabilità degli altri bambini accolti, compreso i nostri figli. La psicologa che ci segue e supervisiona a livello emotivo ,ha sempre sostenuto che un bambino ha bisogno soprattutto di ritornare a fare il bambino. E che certi atteggiamenti non sono trasmissibili se non nella misura in cui si riproducono le condizioni e i fattori che hanno favorito di fatto quella data esperienza traumatizzante. La relazione significativa con adulti responsabili, la stabilità affettiva e normalizzante che una casa famiglia può offrire, modelli educativi coerenti e chiari sono di per se stessi già terapeutici. E' chiaro che non bisogna incorrere nel rischio di sentirsi onnipotenti e tuttologi. Per cui, con una buona rete di supporto tecnica all''esterno ed un contenitore affettivo e professionale adeguato, nel quale il bambino può fidarsi ed affidarsi, aiuta sicuramente ad elaborare vissuti difficili. I bambini maltrattati anche sessualmente , di cui abbiamo avuto esperienza, rientrano nella fascia di età tra i 6 ed i 13 anni. C'è da dire che per rete esterna di supporto intendiamo i centri specializzati sul maltrattamento e sull' abuso.
Fortunata D'agostino
 
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Re: Quando la Casa Famiglia? E quando la Comunità Educativa?

Messaggioda GIUSY » 14/05/2014, 11:07

Le comunità residenziali per minori sono strutture di accoglienza dove viene valorizzata e praticata una dimensione di vita familiare dove i ragazzi possono ritrovare un’atmosfera tale da farli “sentire a casa” e che ha come finalità primaria la salvaguardia dei diritti del minore. Ciò si realizza attraverso un’accoglienza che consenta risposte individualizzate, riconoscimento e valorizzazione della soggettività di ognuno.Questo credo sia fondamentale.
GIUSY
 
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